Tutto è iniziato al porto di Genova, crocevia abituale di imbarchi e spedizioni a rischio: dal motorino rubato e smontato in pezzi celati in casse che contengono tutt’altro alle top car destinate a essere riciclate in Nord Africa o nell’area del Mediterraneo.
Così le Dogane avevano chiesto di tenersi quella falsa Dino, per portarla al Museo della Contraffazione e mostrarla come caso-scuola ai propri dipendenti nei corsi di specializzazione. La Ferrari ha argomentato che persino questo potesse essere lesivo del marchio, per cui si sarebbe dovuta disporre la rottamazione prevista dall’articolo 83 del Dlgs 271/1989 quando il bene contraffatto e confiscato non viene richiesto da alcun organo.
La Corte ha innanzitutto chiarito che l’articolo 16 della legge 99/2009 si applica sia ai beni mobili registrati sia ai beni falsi . In altre parole, quella Ferrari Dino non aveva i requisiti per poter essere immatricolata e quindi utilizzata su strada, ma ciò non escludeva che potesse essere richiesta da un organo dello Stato per le finalità consentite dalla legge, anche diverse dall’utilizzo come veicolo di servizio che di solito è quello che si cerca di ottenere.
Anni ‘60, per favore... Un minimo di attenzione, quando si scrive per il pubblico!
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