Il giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Milano Tommaso Perna ha accolto soltanto 11 delle 153 misure cautelari chieste dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia (DDA) Alessandra Cerreti, Alessandra Dolci e dal procuratore capo Marcello Viola, nell’ambito di un’inchiesta durata tre anni sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia.
In una delle intercettazioni allegate all’inchiesta l’esponente del clan Senese Emanuele Gregorini, detto “Dollarino”, parla con Gioacchino Amico, vicino alla mafia palermitana e trapanese: «Qua è Milano! Non ci sta Sicilia, non ci sta Roma, non ci sta Napoli, le cose giuste qua si fanno». Amico aggiunge: «Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano, passando dalla Calabria, da Napoli, ovunque».
Nell’ordinanza scritta per respingere le richieste di misure cautelari, il GIP Tommaso Perna ha spiegato che non è stato possibile accertare l’esistenza di un consorzio mafioso perché «è del tutto assente la prova dell’esistenza del vincolo associativo tra tutti i sodali rispetto al sodalizio consortile» e perché manca «l’esternazione del metodo mafioso che deve caratterizzare l’unione tra persone e beni, tale da assurgere al rango di un fatto penalmente...
I rapporti e gli incontri tra diversi indagati sarebbero insomma basati su conoscenze personali, senza interessi legati ai singoli affari, anche se illeciti. E questo «diversamente da quanto ipotizzato dalla pubblica accusa non costituisce un elemento innovativo nel contesto lombardo», ha scritto il giudice, che ha giudicato le prove portate dalla procura come suggestive e scarsamente rilevanti. Inoltre non sarebbero state accertate forme di violenza o minaccia.
Alla fine sono state concesse soltanto misure cautelari per 11 indagati accusati di porto d’armi abusivo, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, minaccia aggravata, traffico di droga ed evasione fiscale. Inoltre è stato ordinato il sequestro di beni per 225 milioni di euro. La procura ha fatto ricorso al tribunale del Riesame.un confronto piuttosto acceso tra i magistrati e il giudice in merito al rifiuto delle misure cautelari.
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