La storia di Valentina e Stefano è la storia delle richieste disperate che arrivano ai ginecologi che si occupano di aborto in Italia, costretti a rispettare un limite non scritto ma che li incatena; la loro è la storia di una delle tante richieste di aiuto che arrivano alla Associazione Luca Coscioni, e che riceveranno sempre la stessa risposta: in Italia non si può abortire, se la gravidanza è arrivata ad un momento in cui è possibile la sopravvivenza del feto al di...
La storia di Valentina e Stefano rende evidente solo una delle tante gravi criticità contenute nel dettato della legge: l’obbligo di avere un documento firmato da un medico che attesti e dia valore alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza; la prescrizione di un periodo di riflessione, fissato per legge a 7 giorni, e rigorosamente osservato dalla gran parte dei medici; la mancanza dell’obbligo per gli obiettori di coscienza di assicurare la continuità assistenziale; il limite arbitrario dei 90 giorni, sono solo le più stridenti.
Ma è anche tempo di ripensare una legge che abbia al suo centro il diritto all’autodeterminazione e che riconosca finalmente alle donne quei diritti ancora troppo spesso negati: diritto alla salute, rispetto delle proprie scelte e un pieno diritto di cittadinanza. Perché nessuno deve essere costretto a cercare fuori dal proprio Paese l’esercizio di un diritto negato.
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