Il taiwanese Tsai Ming-liang è un poeta del quotidiano più prosaico e un vero sperimentatore senza pose alcune. Tra i più significativi cineasti contemporanei, sorprese fin dal suo secondo film,. Il suo film, che giunge in Italia proprio mentre il leader cinese Xi Jinping rivendica con nettezza l’lockdown
È dolce, quieta, la tonalità scelta dal regista per questo racconto di solitudine totale ambientato in una megalopoli asiatica concepita, al pari delle altre, come una distorsione di più normali città: geometrie dilatate per spingere i flussi economici che mutano però gli esseri umani in molecole, come delle micro-luci di giganteschi flussi al neon, destinati a non incontrarsi mai, a non soffermarsi mai l’uno sull’altro.
L’uomo maturo è immancabilmente il suo attore feticcio Lee Kang-sheng, che lo accompagna fin dal film d’esordio, in cui si segue il suo peregrinare verso una cura per il suo male misterioso . Quello più giovane è invece il laotiano Anong Houngheuangsy, che il regista lancia come attore e che interpreta qui la sua vecchia professione nel mondo reale.
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