Nel mondo dei televisori Carlo Vichi, morto a 98 anni, era diventato una leggenda. E sulle leggende, si sa, altre leggende nascono e si moltiplicano, spesso fuori controllo. Come quella, mai verificata, secondo la quale durante gli anni di piombo, nello stabilimento Mivar di Abbiategrasso si fosse fatto costruire un bunker. Di essere di estrema destra non ha mai fatto un mistero, il Vichi. Ti diceva: «Io non sono fascista. Sono Nazionalsocialista».
Lo fosse o meno, di sicuro era un genio. Perché soltanto un genio può iniziare riparando radio a transistor nel 1945 per arrivare a creare un colosso in grado di produrre un milione di televisori all’anno e insidiare quote di mercato a marchi quali Telefunken, Grundig e, in seguito, Sony. Erano i tempi dei tubi catodici. Quando i televisori erano più profondi che larghi. Il colore era arrivato nel 72, sperimentato nel corso dei Giochi Olimpici di Monaco.Una magia.
Gli operai lo salutavano, senza deferenza, senza scappellarsi. Come fosse un collega qualunque. Lui ti guardava, capiva quello a cui stavi pensando e diceva: «Non ho problemi con i sindacati. Qui chi lavora bene viene trattato bene”. I modi bruschi forse erano solo una posa. Un vezzo teatrale di chi sa di essere suo malgrado diventato un personaggio.
Rimane il ricordo di televisori italiani di grande qualità, che ancora fanno ossequiosamente il loro dovere in qualche casa di provincia, con la 'stampella' di un decoder dtt esterno ... RIP grande uomo.
Il telefascista
Uno degli ultimi, se non l’ultimo vero imprenditore italiano.
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