16 novembre 2019 - 12:31

Antonello Falqui, l'intrattenimento dell'insegna della grazia e dell'eleganza

«Non volevo alfabetizzare il Paese come il maestro Manzi, ma solo intrattenerlo con grazia ed eleganza», diceva in un'intervista. Il regista è morto sabato notte a 94 anni

di Aldo Grasso

Antonello Falqui, l'intrattenimento dell'insegna della grazia e dell'eleganza
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«Odio tutto ciò che è casuale, fortuitamente lasciato agli eventi, fuori dell’orbita del pensiero. Accanto all’esigenza di accontentare il pubblico nei suoi desideri, ci deve essere anche una volontà di stimolo al buon gusto, a un minimo di senso critico». In queste parole si racchiude la tv di Antonello Falqui, il più grande regista d’intrattenimento della tv italiana, sempre all’insegna della grazia e dell’eleganza. Aveva iniziato con «Arrivi e partenze» (1954) e finito con «Un altro varietà» (1986), in mezzo alcune pietre miliari della tv: «Canzonissima» (1958-59, 1969-70), in particolare l’edizione con il trio Scala-Manfredi-Panelli resta il più perfetto paradigma di varietà televisivo, «Giardino d’inverno» (1961), con le sorelle Kessler e il Quartetto Cetra, «Studio Uno», «Biblioteca di Studio Uno» e «Teatro 10» (1964), «Mille luci» (1974). Ma il suo capolavoro resta «Studio uno». Mentre Torino celebrava con «Italia 61» il centenario dell’unità d’Italia, gli italiani scoprivano le gemelle Kessler e il Dadaumpa. Falqui e Sacerdote erano stati negli Usa, avevano visto spettacoli nuovi, volevano proporli in Italia.

Non c’era più bisogno di scenografie sfarzose, gli artisti si muovevano su fondali fatti di grandi spazi bianchi. La telecamera poteva così far risaltare meglio i corpi delle ballerine, delle star, dei conduttori; si cominciava in questo modo a ragionare in termini di linguaggio televisivo. E poi la cosa più moderna, sconvolgente: si vedevano in campo gli strumenti con cui si riprende lo spettacolo: telecamere, microfoni, giraffe, luci... Sull’Espresso, Sergio Saviane ebbe parole di elogio: «Il merito di Sacerdote e Falqui non è solo d’aver allestito un varietà televisivo divertente, vivo, con molte idee e che promette di migliorare nelle prossime settimane, ma d’aver sconvolto le acque del rattrappito mondo della canzone, mettendo al bando i cantanti e le loro pietose interpretazioni». «Studio Uno» elimina i grigi, conosce solo il bianco e il nero. Ma non basta: di fronte a tanta accuratezza e tanta misura scenografica è possibile giocare sulla ridondanza. Nell’apparente asetticità dello studio c’è bisogno dell’enfasi delle gambe (le gemelle Kessler), dell’enfasi della parola (Walter Chiari), dell’enfasi della voce (Mina). Aveva capito tutto Achille Campanile che sottolineava la gestualità di Mina: «Di solito esordisce con alcuni cenni cabalistici. Intona, per esempio, “Giuramelo”, facendo schioccare le dita. Attacca “Besame mucho”, e si tocca la fronte, come per dire “Mi viene un'idea”. Indi passa all'ormai consueto suo gesto corrispondente al napoletano “pachioco”, per mettersi in posizione di riposo, con la palma sinistra sotto il gomito destro…».

Grazie a Falqui, l’allora direttore generale Ettore Bernabei si poteva vantare di aver tolto la gonna alle gemelle Kessler: «Le proponemmo con il tutù e la calzamaglia nera, senza gonna. Avevano bellissime gambe, ed erano statuarie come la Venere di Milo… E non si muovevano in maniera ammiccante e invitante: facevano vedere come si presenta, con eleganza e signorilità, una bella donna; sicché anche gli uomini presi da desideri umani le guardavano come ideali di bellezza e si contentavano delle loro mogli magari con un po’ di cellulite». In un’intervista rilasciata a Malcom Pagani, Falqui si confessa: «Non volevo alfabetizzare il Paese come il maestro Manzi, ma solo intrattenerlo con grazia ed eleganza. Così provai a trasformare la tv e spostai in quel contenitore il teatro di rivista, già declinante all'inizio degli anni '50. L'avanspettacolo lo conoscevo bene. Facevo sega a scuola per andare a vedere Rascel al Bernini». Falqui ha rappresentato l’espressione più alta del varietà televisivo classico: l’eleganza formale, gli ampi e maestosi movimenti di macchina, le scenografie liberty costituiscono il timbro inconfondibile delle sue regie.

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