16 novembre 2019 - 08:17

Venezia, viaggio sott’acqua nella «pancia» del Mose

Dodici metri sotto la laguna fra i tunnel dove le pompe d’aria azionano le paratoie mobili. Vi raccontiamo meccanismi e nodi della grande opera

di Alberto Zorzi

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VENEZIA Più zero e cinquanta. Meno tre e novanta. Meno otto e trenta. Meno dodici e settanta. La grezza scala in calcestruzzo sembra quasi una discesa agli inferi e a ogni pianerottolo viene indicata la quota di profondità. Bocca di porto di Lido, lato Treporti. Siamo nella «pancia» di uno dei tanti cassoni di calcestruzzo, da anni sono posati sul fondale della laguna, proprio lì dove inizia il mare. Sopra la testa abbiamo 80 centimetri di solaio, poi 6 metri di acqua, cioè la profondità del canale da questa parte, che è la più «bassa» del Mose: sul lato di San Nicolò, nella schiera di 20 barriere oltre l’isola artificiale, la quota di canale è a meno 12 per poter far arrivare le navi, comprese quelle da crociera. La scala finisce e si apre un tunnel lungo quasi mezzo chilometro. Sono i nove cassoni – sette di alloggiamento, due di spalla – posati uno in fianco all’altro e poi uniti in un’unica galleria. Facciamo un passo e dall’alto ci arriva in testa dell’acqua: è la pioggia e alzando la testa si vede il cielo grigio attraverso un cavedio. «Questa parte andrà chiusa quando verrà finito l’impianto di condizionamento», spiegano i tecnici. Nel tunnel si vedono infatti dei grossi tubi ancora aperti. E’ anche per questo, in assenza dell’aria che tenga i locali più all’asciutto, che l’umidità ha iniziato ad assalire alcune parti, portando un po’ di ruggine o quella corrosione di cui si è tanto parlato. Qui non se ne vedono segni particolari, ma d’altra parte ha colpito soprattutto la bocca di Malamocco, i cui cassoni furono però anche allagati da una mareggiata arrivata fino quasi al soffitto nel febbraio 2015. Un po’ di odore di umido, effettivamente, c’è. Pochi metri dopo, sulla destra, si apre un varco. «Cassone TBA07 - Paratoia 21 - Sala connettore 1», c’è scritto su un cartello. Ed eccola qui la parte più delicata del Mose, forse anche quella più contestata. Ecco la famosa cerniera-connettore, quel complesso meccanismo che unisce la paratoia al cassone. In mezzo si vede quello stelo tensionatore in acciaio inox che, secondo le verifiche del Rina, in alcuni casi durerebbe molto meno dei cent’anni previsti. Tanto che si sta valutando se cambiarli tutti o quasi, anche se questo lo proporrà l’impresa vincitrice della gara da 34 milioni nata proprio per trovare una soluzione alla corrosione.

Tubi, valvole, manometri

Lungo il muro c’è un reticolo di tubi, valvole, manometri. Su alcuni di questi c’è un adesivo blu con la scritta «aria di processo». E’ proprio da qui che passa l’aria compressa che ha il compito di «risvegliare» la paratoia distesa sopra il cassone e piena d’acqua: quest’ultima esce, sostituita dall’aria, e così l’enorme porta diventa più leggera e può salire, guidata dalla cerniera, che poi deve tenere l'angolo giusto per impedire all’acqua di entrare in laguna. «L’aria viene spinta dai compressori e regolata da queste valvole, poi immessa nella paratoia attraverso la cerniera - spiega Alessandro Soru, direttore di cantiere - Durante la fase di scarico, cioè l’abbassamento della paratoia, viene chiusa la valvola sul lato di carico e l’acqua mista ad aria va a svuotarsi in un cunicolo». Cioè una sorta di galleria parallela, più bassa, che ha una pendenza all’inizio e alla fine: l’acqua scorre, viene raccolta in due vasche, ripulita dall’olio e scaricata in mare. Quell’acqua entra direttamente dal mare, attraverso delle finestrelle che si aprono quando inizia la discesa. Nella «Sala connettore 1», così come in tutte le altre, ci sono anche dei tubi con un adesivo verde e la scritta «acqua di flussaggio»: acqua dolce, che serve a ripulire le condutture. E’ in questi tubi – anche se a Malamocco, non qui a Treporti – che in fase di discesa delle paratoie, ci sono state quelle vibrazioni un po’ più accentuate del dovuto, che hanno spinto il Consorzio Venezia Nuova a stoppare i test e fare nuove verifiche. In realtà si tratta di tubi normalissimi, poco più grandi di quelli della caldaia di casa, fissati con staffe non molto diverse da quelle che si trovano nei negozi di bricolage. «Beh queste sono state realizzate su misura, con acciaio inox molto resistente», spiega Soru.

La manutenzione

Sulla cerniera c’è un liquido, che sembra acqua. Ma il dito curioso si impregna di olio. «E’ stato appena messo», spiega il direttore. Perché qui – se da un lato il lavoro continua, con un centinaio di operai che stanno completando gli impianti – ci sono anche una decina di dipendenti addetti alle gallerie e a quanto è già stato realizzato. Li sistemano, fanno la manutenzione, come se si dovessero aprire domani. Così, però, non sarà. Ci sono i test, che dureranno anche per tutto il 2020, quando finalmente si alzeranno le paratoie anche con il mare mosso, come quello del disastro di martedì, sferzato da un vento che in bocca di porto è arrivato oltre i 120 chilometri all’ora. Qualcuno ha detto che si sarebbe potuto – e dovuto – alzare lo stesso, per evitare i 187 centimetri. Dal Cvn hanno detto che sarebbe stato un azzardo e il «papà» del Mose Alberto Scotti l’ha confermato: «Non sarebbe stato un gesto di coraggio, ma di incoscienza».

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