Economia Digitale

Dell reinventa il computer sostenibile. Il Texas è la nuova Silicon Valley

Mentre Xerox e Hp stanno decidendo il loro futuro un altro gigante come Michael Dell rinnova la sfida per i prossimi dieci anni puntando tutto sui dati e sull'ambiente.

di Luca Tremolada

4' di lettura

Da vicino non è come te lo aspetti. Michael Dell qui a Austin, nel suo quartier generale, non è il texano individualista, il miliardario spavaldo che si è fatto da solo alla guida di un gigante da 94 miliardi di dollari che ha scritto a partire dagli anni Ottanta la storia del pc. Ti aspetti un dinosauro della preistoria dell’informatica e ti ritrovi un 55enne che apre il Dell Technologies Summit, l’evento più importante dell’anno, parlando di economia circolare, social impact, analfabetismo, diversity, inclusione e anidride carbonica per lanciare un programma fittissimo di iniziative da qui al 2030 che avranno un impatto sociale “misurabile” su dipendenti, clienti e partner per oltre un miliardo di persone. «Nei prossimi dieci anni il potere dei dati spingerà l’umanità a compiere passi in avanti - afferma sicuro il presidente e Ceo di Dell Technologies -. Il nostro lavoro sarà quello di fornire accesso a queste potenzialità al maggiore numero di comunità nel mondo». Numeri, ottimismo e visione. Se non fossimo da tutt’altra parte, a una temperatura polare, proprio nel cuore della Silicon Hills di Austin, scommetteresti di avere di fronte uno dei gettonatissimi filantropi di successo della Silicon Valley.

Camicia azzurrina, giacca grigio-talpa su pantaloni neri e scarpe lucide. Michael Dell non ha mai inseguito il mito dei ragazzi in felpa e infradito. «Non serve avere idee nuove – ripete sempre per distinguersi dai suoi colleghi “inventori” -, basta rendere migliori quelle che già ci sono». Eppure nel corso del tempo di idee ne ha cambiate spesso. Anzi, non è stato fermo un attimo. Dopo avere realizzato il modello del pc on-demand, essere diventato il primo assemblatore di computer per aziende del mondo, Dell Technologies si è spostata sui servizi ragionando in “grande”, come dicono qui in Texas i suoi più vecchi dipendenti che continuano a considerarlo “Dio in Terra”. Nonostante la fusione con Emc del 2016, che è stata la più costosa (67 miliardi di dollari) e complessa operazione dell’industria globale dell’It. E nonostante la complicata ristrutturazione per abbattere il debito attraverso la cessione di attività non più strategiche. L’anno scorso, con una mossa storica, Dell Technologies è tornata in Borsa grazie a un accordo parte in cash e parte in azioni da 24 miliardi con VMware, società specializza nella virtualizzazione.

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In trent’anni insomma da azienda che oggi produce quasi 100mila pc al giorno si sta trasformando sotto la guida di Michael Dell in un “negozio” globale di servizi di information technology on demand che vanno dal networking allo storage, dalla virtualizzazione alla sicurezza. Proprio da questo palco, strizzando l’occhio ai mantra “cloud-centrici” della Silicon Valley ha esteso un modello a consumo (on demand) dell’It a tutti i suoi prodotti rilanciando e rinnovando la propria immagine di antico gigante dell’It.

Altri due colossi americani che hanno fatto la storia della tecnologia come Xerox e Hp stanno decidendo in questi giorni il loro futuro. Il leader mondiale delle stampanti ha dichiarato di volere un pezzo del più grande produttore di computer portatili del mondo ed è disposto a pagare 27 miliardi di dollari. Gli analisti riuniti da Michael Dell non parlano d’altro. Ma, piuttosto che guardare a queste operazioni di acquisizione come sintomo di un ciclo economico maturo che annuncia un rallentamento, preferiscono concentrarsi su loro stessi, sulla loro economia, su quello che osservano da vicino.

«Vuoi un consiglio? Visita Austin e il Texas», mi suggerisce un analista. La cittadina americana è la Milano della Lombardia: una enclave democratica circondata da un potere repubblicano indiscusso e indiscutibile. Da nove anni però cresce come nessun’altra metropoli degli Stati Uniti sia in termini demografici che tecnologici. Amazon, Apple, Facebook e Google hanno aperto uffici, campus e centri di produzioni. Nel 2017 Jeff Bezos ha investito 13 miliardi di dollari in Whole Foods che sta a pochi metri da Dell. Dopo Cupertino il più importante insediamento di Apple è proprio ad Austin. Secondo la Kauffman Foundation, nei prossimi dieci anni il Texas sarà il “place to be” per venture capital e startup della tecnologia. Nei primi tre trimestri del 2019 sono piovuti 1,2 miliardi di dollari di capitale da venture per nuove aziende di tecnologia. Secondo PricewaterhouseCoopers e Cb Insight gli investimenti hanno già superato i risultati record dell’anno passato. La Silicon Hills, ma non solo Austin, anche le altre città di questa nazione stanno attirando risorse anche perché in qualche modo vogliono rappresentare un senso di nazionalismo-tecnologico che nella liberale Silicon Valley non c'è.

Come ha scritto il premio Pulitzer Lawrence Wright nel suo ultimo libro “Dio salvi il Texas”, se fosse indipendente, questo stato sarebbe il decimo paese del mondo in termini economici, eclissando Canada e Australia. La California, con il 40 per cento in più di persone, ha un Pil di 2.600 miliardi di dollari: sarebbe la quinta economia al mondo, appena prima del Regno Unito. Gli uomini di Michael Dell si sottraggono quando tenti un confronto con la Silicon Valley. «Sa qual è lo slogan non ufficiale di questa città? Keep Austin Weird”, dicono e ridono forte. La California è lontana. O forse a loro non interessa.

Per approfondire.
La Silicon Valley chiede la fiducia (alle imprese). Serve un patto per la trasparenza degli algoritmi

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