15 novembre 2019 - 18:52

Anche Maometto lasciava che a decidere fosse la sua gatta

Come comportarsi quando il nostro micio si accuccia su di noi e si addormenta? Svegliarlo oppure no? Ecco come si regolò il profeta...

di Fabrizio Rondolino

Anche Maometto lasciava che a decidere fosse la sua gatta
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Quando ancora abitavamo a Roma, Jefferson aveva l’abitudine di trascorrere ogni giorno almeno qualche ora nell’armadio a muro del nostro bagno, comodamente sprofondato in una pila di morbidi asciugamani. Il giovane Sergio da qualche tempo ha preso l’abitudine di trascorrere di tanto in tanto la notte sui miei vestisti, e quando mi sveglio la mattina non accenna neanche l’ombra di un movimento. Lola, invece, salta sulla scrivania ogni volta che accendo il computer, dapprima passeggiando su e giù a coda ritta e poi appisolandosi in una posizione soltanto sua che in parte ostruisce il monitor e in parte blocca la tastiera. Per non parlare della situazione più comune: il micio piazzato sulle ginocchia o sulla pancia (o sulla testa) e immobile come una zuppiera o un ciambellone di granito.

Come sa chiunque viva con un gatto, è sempre il gatto a scegliere dove stare, e spesso sceglie le nostre cose o noi stessi. La ragione, in realtà, è molto semplice: il nostro micio ama il nostro odore perché è mescolato con il suo e dunque gli risulta familiare e gradevole. Ciò non toglie, però, che ogni volta si ponga l’arduo dilemma: lascio il gatto lì dove sta, meravigliosamente addormentato e persino commovente nella sua perfetta armonia, sereno nel suo riposo olimpico e generoso al punto da donarci la sua prossimità, oppure prendo il telecomando, mi infilo la camicia, vado in bagno, cambio l’asciugamano, scrivo questo articolo?

La scelta giusta, se siete veri gattari, è quella compiuta da Maometto con la sua gatta Muezza. La vita del fondatore dell’Islam è oggetto di migliaia di aneddoti, gli hadith, che sono parte integrante della Sunna, la seconda fonte della legge islamica dopo il Corano. In uno di questi racconti il Profeta, udito il muezzin che invita alla preghiera, si alza per prepararsi e s’accorge che su una manica della sua veste Muezza sta dormendo felice. È la sua veste migliore, e Maometto non vuole presentarsi all’ora della preghiera con un abito inadeguato. Ma non vuole neppure svegliare la sua amata gatta. E allora taglia la manica e se ne va alla moschea con la veste più elegante, ma con un braccio nudo. Al ritorno dalla preghiera, Muezza è sveglia e, con una profonda riverenza, ringrazia Maometto di non averla disturbata. Commosso, il Profeta la carezza tre volte lungo la schiena: ed è così, secondo la leggenda, che sono nate le striature sul mantello dei gatti (oggi si usa il termine internazionale “tabby”). Non solo: quella carezza di Maometto donò a Muezza, e a tutti i gatti che sarebbero venuti dopo di lei, il potere di atterrare sempre sulle quattro zampe, da qualunque altezza cadessero, le proverbiali sette (o nove) vite, nonché un posto in Paradiso.

Altri hadith raccontano come Maometto pronunciasse spesso i suoi sermoni con Muezza accoccolata in grembo, e come non avesse problemi a bere e a fare le abluzioni utilizzando la stessa acqua bevuta da Muezza. In un’altra occasione ancora, il Profeta era immerso nella preghiera al punto di non accorgersi di un serpente velenoso che si stava avvicinando: la gatta, senza neppure disturbarlo, uccise il serpente e gli salvò la vita. Curiosamente, se nell’Islam i gatti godono dunque di grande prestigio, non compaiono mai nell’intera Torah ebraica, mentre nel folklore cristiano sono stati abitualmente associati alle streghe e al Diavolo: ma questa è un’altra storia, ed è ora di chiudere la divagazione.

La gentilezza di Maometto, disposto a lacerare la sua veste più bella pur di non svegliare la gatta addormentata, non andrà forse replicata alla lettera ma certamente indica la strada giusta da seguire. Meno spirituale del Profeta, mi permetto di aggiungere una motivazione squisitamente egoistica: avere un gatto addosso, osservarlo mentre dorme in qualche assurda posizione, scoprirlo in una sua nuova tana è un piacere autentico e ogni volta irripetibile. È dunque senz’altro raccomandabile goderne il più a lungo possibile e aspettare che sia il gatto, quando lo vorrà, a scegliere di spostarsi: e quando infine si sarà spostato, ci dispiacerà che l’abbia fatto.

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