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La spada di Damocle dei due referendum sulla legge elettorale

Al momento della nascita del Conte 2 l'accordo M5s-Pd era per un proporzionale con soglia alta (5%). Ma nel corso delle settimane il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha accarezzato l'idea di un sistema maggioritario a doppio turno nazionale tra le prime due coalizioni. Dopo il voto regionale in Umbria che ha visto la debacle dell'asse M5s-Pd il capo politico del Movimento Di Maio si è messo di traverso, più di quanto avesse già fatto in precedenza, spingendo per la soluzione proporzionalista

di Emilia Patta

Taglio dei parlamentari: tutte le nuove regole

4' di lettura

Entro dicembre, questo almeno l’accordo raggiunto tra i partiti della maggioranza prima del voto in Umbria e dell’acuirsi delle fibrillazioni interne sulla manovra economica, va presentata in Parlamento una riforma concordata della legge elettorale. La revisione del Rosatellum si rende necessaria per adeguare il sistema al ridotto numero dei parlamentari dopo il via libera definitivo alla riforma costituzionale voluta dal M5s l’8 ottobre scorso.

Ma naturalmente si rende necessaria, dal punto di vista dei maggiori azionisti del governo Conte 2 - il M5s e il Pd - anche per spuntare le unghie a un Matteo Salvini sempre in testa nei sondaggi, oltre il 30%, mentre i pentastellati sono abbondantemente sotto il 20 e lo stesso Pd fatica a mantenere quella cifra dopo la scissione operata da Matteo Renzi con la sua Italia Viva.

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Proporzionale o maggioritario a doppio turno?
Quale sistema, dunque? Al momento della nascita del Conte 2 l’accordo M5s-Pd era per un proporzionale con soglia alta (5%): senza più l’ampia quota (37%) di collegi uninominali previsti dal Rosatellum la Lega di Salvini avrebbe più difficoltà a conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento. Ma nel corso delle settimane il segretario del Pd Nicola Zingaretti - in questo d’accordo con il premier Giuseppe Conte - ha accarezzato l’idea di un sistema maggioritario a doppio turno nazionale tra le prime due coalizioni: un modo per rendere più strutturale e competitiva l’attuale coalizione di governo costruendo un fronte “antisovranista” e anche un modo per depotenziare la novità della “terza via” di Italia Viva. Ma dopo il voto regionale in Umbria che ha visto la debacle dell’asse M5s-Pd il capo politico del Movimento si è messo di traverso, più di quanto avesse già fatto in precedenza, spingendo per la soluzione proporzionalista.

La spada di Damocle della Corte costituzionale
Difficile dunque che al vertice di maggioranza fissato per le prossime ore i partiti possano già uscire con una proposta condivisa. Anche perché sul destino della riforma elettorale giocano anche altri fattori, in un incastro che rende ancora più complicata la soluzione del rebus per eccellenza della politica italiana, ossia appunto il sistema elettorale che non a caso è stato cambiato tre volte negli ultimi lustri: dal Mattarellum al Porcellum, poi bocciato dalla Corte costituzionale nel gennaio del 2014, fino al Rosatellum passando per l’Italicum, bocciato sempre dalla Corte costituzionale nel gennaio del 2017 prima di poter essere testato.

Il possibile successo del quesito leghista per i collegi uninominali...
Il primo fattore che determinerà le scelte future in materia elettorale è di nuovo un pronunciamento della Consulta, atteso per il prossimo gennaio: i giudici dovranno decidere sull’ammissibilità del quesito referendario proposto da otto regioni a guida centrodestra e messo a punto dal leghista Roberto Calderoli: lo scopo dei proponenti è cancellare la parte proporzionale del Rosatellum per avere un sistema basato interamente sui collegi uninominali così come avviene in Gran Bretagna. Tra i costituzionalisti ci sono molti dubbi sull’ammissibilità del quesito, perché lascerebbe un vuoto normativo di circa due mesi (il tempo necessario per disegnare i collegi uninominali). Ma ovviamente nessuno può essere sicuro oggi di che cosa deciderà la Corte a gennaio, e nel caso in cui il referendum dovesse essere accolto è chiaro che approvare in Parlamento una legge elettorale proporzionale per bloccare la celebrazione del referendum abrogativo a giugno - pur tecnicamente possibile - sarebbe politicamente impraticabile. Si imporrebbe a quel punto una soluzione maggioritaria, e la Lega ha già detto che in caso di soluzione condivisa si potrebbe evitare il referendum. Se invece la Consulta dovesse bocciare il quesito leghista la soluzione proporzionalista prenderebbe vigore. Insomma, all’interno della maggioranza persistono due soluzioni opposte - il proporzionale con sbarramento al 5% e un maggioritario a doppio turno nazionale - e la decisione della Consulta giocherà un ruolo fondamentale per far emergere l’una sull’altra.

... e il possibile referendum confermativo sul taglio dei parlamentari
C’è poi un altro fattore che inciderà sulla soluzione del puzzle legge elettorale, anche se indirettamente: l’eventuale referendum confermativo sul taglio del numero dei parlamentari. Se nessuno degli aventi diritto (un terzo dei parlamentari di una Camera, 5 Consigli regionali o 500mila elettori) chiede il referendum la riforma entrerà in vigore nella prima parte di gennaio, dopodiché occorreranno due mesi per adeguare i collegi al ridotto numero dei parlamentari e teoricamente si potrebbe tornare al voto in caso di crisi in primavera. Se invece in Senato - dove la raccolta trasversale delle firme ha già raggiunto quota 50 - si arriverà a 65 senatori, occorrerà attendere almeno altri due mesi per lo svolgimento del referendum confermativo e in questo caso si arriverebbe a giugno, con la finestra elettorale estiva ormai chiusa. Tutto un inverno e una primavera a disposizione - è il timore dei governisti - per provocare una crisi di governo e andare al voto anticipato prima che scatti il “taglio”, quindi con gli attuali 945 parlamentari da eleggere, magari dopo aver approvato in fretta e furia una riforma elettorale proporzionale per sgonfiare Salvini, sempre che la Consulta nel frattempo bocci il quesito leghista...

Per approfondire:
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