11 novembre 2019 - 11:50

Atp Finals, Berrettini ora affronta Federer: «Voglio divertirmi, non è finita»

Tennis, la sconfitta con Djokovic al debutto del Master non ha lasciato scorie nel romano, n. 8. Il mental coach: «Ha imparato a trarre il massimo dalle difficoltà»

di Gaia Piccardi

Atp Finals, Berrettini ora affronta Federer: «Voglio divertirmi, non è finita» (Getty Images)
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La prima volta con Djokovic alle Atp Finals, come i debutti contro Federer (Wimbledon, ottavi) e Nadal (Us Open, semifinale), non si scorda più. «Accetto la sconfitta. È stato più bravo di me. Imparerò, diventerò più forte. Il mio processo di crescita a questo livello è appena cominciato». Piegato ma non spezzato, Matteo Berrettini è l’apprendista stregone from Italy che incassa 6-2, 6-1 in 63 minuti dal Djoker senza darsi addosso: «Ero nervoso, ma non in modo negativo: per dare il meglio devo esserlo. Non direi che ho preso una lezione: con Federer sul centrale di Wimbledon non mi ero mai sentito me stesso, con Djokovic ho palleggiato, qualche punto l’ho portato a casa. Non mi butto giù».

Nell’arsenale che ha issato Matteo al numero 8 del ranking in una stagione comunque da incorniciare, ieri, qui a Londra, dentro la O2 Arena stracolma che gli aveva riservato un’accoglienza da pop star, sono mancati i pezzi forti: in un match in equilibrio fino al 2-2 prima che l’avversario dilagasse, solo il 47% di punti vinti con la prima di servizio e il 28% con la seconda. Basterebbero queste due statistiche per non avere chance con il ribattitore più portentoso del circuito. Il romano ha aggiunto 18 errori di dritto su 28 gratuiti complessivi, troppi su questo palcoscenico. «A tratti mi sono sentito dentro un flipper — ha ammesso —, la palla camminava molto veloce».

C’è poco da rimproverare a un giocatore che l’anno scorso volava a Londra da numero 54 del mondo per partecipare alla Atp University: informazioni su doping e antidoping, dritte per affrontare una sala stampa gremita e consigli su come rispondere alle interviste. «Dodici mesi fa ero il ragazzo italiano che veniva a capire. Oggi sono uno degli otto tennisti che giocano il torneo». Il Master di fine anno farebbe girare la testa a chiunque, non a caso delle tre partecipazioni azzurre nella storia (Panatta ’75, Barazzutti ’78, Berrettini 2019) non è passata in archivio, fin qui, alcuna vittoria. Matteo può tentare di rifarsi martedì (alle 15, diretta Sky) contro Federer, battuto da Thiem, intanto si gode il panorama. L’albergo con vista su Westminster, nonna Lucia a bordo campo, la fidanzata Ajla in arrivo dall’Australia. E la contiguità con la trimurti, Federer-Nadal-Djokovic, «campioni che vedevo alla tv e con i quali, adesso, chiacchiero di tornei, allenamenti e vacanze. Strano ma bello».

Stefano Massari, il mental coach cui Berrettini ha affidato l’anima, rivela che il kappaò con il Djoker non lascerà scorie nella testa, che il libro che gli ha dato da leggere a Londra (Butcher’s Crossing di John Williams) è la storia di un vincente da cui trarre ispirazione: «Delle batoste, Matteo ha imparato a fare tesoro. Non si tormenterà perché non c’è niente per cui tormentarsi. Ha maturato la capacità di spostarsi dal risultato, sa stare nelle difficoltà e ha una grande disponibilità alla sofferenza, che non lo spaventa. Riverserà rabbia e cattiveria buona nella prossima partita delle Atp Finals». Djokovic gli viene in soccorso: «Capisco Matteo: nel 2007 a Shanghai, quando ho esordito al Master, ero felice ma tesissimo. Affrontare solo top-10 mette una tremenda pressione addosso».

Non c’è nulla da perdere, solo da guadagnare in questo corso di avviamento veloce al successo chiamato Atp Finals. «Voglio divertirmi, non è finita» promette il gladiatore gentile, ma non troppo.

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