9 novembre 2019 - 19:48

I democratici in cerca di un leader Bloomberg sfida Biden sui moderati

A febbraio iniziano le primarie per scegliere l’avversario di Trump. Votazioni serrate . Ad aprile già assegnati il 65% dei delegati

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

I democratici in cerca di un leader Bloomberg sfida Biden sui moderati
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Joe Biden non poteva che abbozzare: «Michael? Gli dò il benvenuto». L’ex vicepresidente degli Stati Uniti è da oggi il concorrente numero uno di «Michael» Bloomberg, ex sindaco di New York, ex repubblicano, undicesimo uomo più ricco del mondo e adesso diciottesimo candidato nelle primarie democratiche. Lo sfidante di Trump sarà nominato nella convention dei progressisti democratici, dal 13 al 16 luglio a Milwaukee nel Wisconsin. La città di «Happy Days», ma soprattutto il territorio della clamorosa vittoria di Trump nel 2016.

Il calendario delle votazioni è molto più serrato dell’ultima volta. Si comincerà il 2 febbraio in Iowa, poi l’11 nel New Hampshire, il 22 in Nevada e il 29 nella South Carolina. Un rodaggio importante, in attesa del primo passaggio cruciale: il Supermartedì del 3 marzo: quel giorno saranno chiamati alle urne gli elettori democratici di 14 Stati (più i residenti all’estero e le Isole Samoa). Nel gruppo ci saranno anche Texas e California che nel 2016 si pronunciarono molto più avanti. Agli inizi di marzo, dunque, saranno assegnati il 38% dei 3.979 delegati che parteciperanno alla Convention. Poi subito un altro giro di votazioni e a fine mese il numero dei rappresentanti sarà pari al 65,4% del totale.

Questi numeri aiutano a spiegare la dinamica delle primarie democratiche. Di fatto, all’inizio delle primavera prossima, resteranno in piedi tre, forse quattro pretendenti. Ecco perché è necessario accelerare ora ed ecco anche perché gli avversari di Bloomberg sperano che, per una volta, l’uomo d’affari abbia sbagliato i conti, uscendo allo scoperto troppo tardi. L’ex primo cittadino newyorkese, però, potrebbe anche permettersi di fare da semplice comparsa a febbraio, a patto di fare il pieno nell’America più profonda e più moderna: dall’Oklahoma alla California appunto.

E qui calendario e geografia si intrecciano con la politica.

Terminata, salvo sorprese dell’ultima ora, la stagione clintoniana e obamiana, il partito democratico si è ritrovato senza un ancoraggio preciso. Biden si propone come la garanzia della continuità. Ma prima i sondaggi, poi le ultime elezioni in Kentucky e in Virginia stanno diffondendo seri dubbi sulla sua presa nell’area moderata. In Stati come Arizona e Florida dovrebbe essere avanti almeno di 20 punti sui diretti concorrenti, invece ha un vantaggio al massimo di 10 lunghezze e in Iowa è addirittura sotto. L’ambizione di Bloomberg è coprire meglio di Biden tutto lo spazio politico potenziale che sembra ancora a disposizione dei moderati. Dall’altra parte la corrente radical e socialisteggiante continua a crescere ma, nello stesso tempo, secondo un’antica tradizione della sinistra, a dividersi. Bernie Sanders ed Elizabeth Warren sono in larga parte sovrapponibili. Ma nessuno dei due farà un passo indietro, almeno fino al SuperMartedì. Il loro dualismo ha spaccato anche la nuova «left», la «Squadra» approdata alla Camera con le elezioni di Midterm. Alexandria Ocasio-Cortèz si è schierata con «Bernie»; Ayanna Presley con «Elizabeth».

In un partito democratico senza un padrone indiscusso e con tensioni interne sia a destra che a sinistra sono emerse tante altre candidature. Una fase «da cento fiori», così come era successo nel 2016 nel partito repubblicano con la dinastia Bush declinante. Anche allora i candidati conservatori erano 17, compreso Donald Trump.

Nel gruppone dei democratici c’è un po’ di tutto: parlamentari in cerca di visibilità, come Joe Sestak della Pennsylvania o John Delaney del Maryland; una scrittrice come Marianne Williamson; figure emergenti come l’ex sindaco di San Antonio, Julian Castro o l’ex pilota da guerra e ora deputata Tulsi Gabbard.

La selezione è però già in atto. Per il prossimo dibattito televisivo, in programma per il 20 novembre in Georgia, si sono qualificati in dieci: Biden, Warren, Sanders, Pete Buttigieg, Cory Booker, Kamala Harris, Amy Klobuchar, Gabbard, Andrew Yang e il miliardario Tom Steyer.

Le regole fissate dal partito democratico alzano ogni volta l’asticella dei requisiti richiesti (soglia nei sondaggi, donazioni raccolte). Al momento sono stati ammessi per l’ultimo confronto dell’anno, il 19 dicembre a Los Angeles, solo sei concorrenti: Biden, Warren, Sanders, Buttigieg, Harris, Klobuchar. Saranno questi i veri finalisti? Molto dipenderà anche dall’impatto di Bloomberg sui sondaggi. E non vanno mai escluse altre sorprese.

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