TORINO. Ma quali segreti indicibili. Chi l’ha detto è squallido. La verità è che io a Chiara voglio bene, per me è come una sorella minore. Ho cercato di consigliarla, proteggerla e starle a fianco. Come avrei potuto fare del male e ricattare una persona che per me è di famiglia e che mi trattava come uno di famiglia?».

Per sette ore davanti al pm Gianfranco Colace l’ex capo ufficio stampa del Comune Luca Pasquaretta si difende da accuse gravissime: estorsione, corruzione, peculato. Si presenta con un malloppo di documenti contenuto in una borsa di tela griffata Salone del Libro, trentesima edizione: quella per cui è accusato di aver intascato 5 mila euro per una consulenza fasulla. «Non ho intenzione di fare il capro espiatorio. Rivendico il mio lavoro: ho contribuito a salvare una manifestazione che stava andando a Milano».

Tutta questa storia di veleni, rancori, presunti favori, soldi e incarichi chiesti, promessi, ottenuti o negati, in fondo ruota intorno a una donna diventata inaspettatamente sindaco e a chi per due anni ne è stato l’ombra. «Dopo piazza San Carlo tra di noi è nato un rapporto strettissimo, di stima e amicizia, esteso alla sua famiglia». Di Appendino, Pasquaretta era molto più che un addetto stampa: «Il mio contratto prevedeva che mi occupassi di comunicazione, ma tenevo rapporti politici, con i vertici nazionali del Movimento 5 Stelle e con la comunicazione nazionale. Mi recavo periodicamente alla sede della Casaleggio. Per conto di Appendino ho tenuto rapporti con Grillo, Casaleggio, Di Maio, Fraccaro, Bonafede, con i responsabili della comunicazione Casalino, Dettori, Loquenzi. Ho organizzato io la campagna elettorale di Di Maio a Torino, nel 2018. A Chiara ho dedicato un pezzo della mia vita: abbiamo vinto le elezioni, era la sindaca più apprezzata d’Italia, si parlava di lei come possibile candidato premier. Un abisso rispetto a oggi».

Non un estraneo al Movimento. Certamente una persona che aveva travalicato di molto i suoi compiti. Ma non solo per sua volontà, almeno questa è la versione che Pasquaretta consegna agli investigatori: «Nell’autunno del 2016 Chiara mi aveva chiesto di occuparmi anche del Salone del Libro. I miei incarichi si stavano moltiplicando e quindi è vero, ho chiesto di guadagnare di più. Per lei non era possibile». Nel frattempo, però, la sindaca ipotizzava di affidargli alcune consulenze in società partecipate dalla Città. «Di Iren non ho mai saputo nulla. Di Afc sì, la sindaca bloccò tutto perché non era d’accordo». L’incarico al Salone del Libro però decolla: «Mi sono fidato di Ferrari (vice direttore generale del Comune e segretario della Fondazione per il Libro, ndr): avrebbe dovuto informare lui la sindaca». Ma Pasquaretta con Appendino trascorreva le giornate: andava a prenderla al mattino con l’autista e la riaccompagnava la sera, che non le abbia mai detto nulla suona difficile da credere: «È andata così. È stato un errore mio e le ho chiesto scusa. Lei non lo sapeva. Ma io quell’incarico l’ho svolto, eccome: ci sono decine di mail e telefonate che lo provano». Sì ma negli stessi giorni lavorava anche in Comune, possibile? «Il sistema di timbrature delle presenze mi è stato cambiato cinque volte».

Il collante di questa indagine e di quel che ne emerge è quello di un uomo bulimico, ambizioso, talvolta ossessionato dal potere e dalla fame di agguantarlo. Di sicuro instancabile. E insoddisfatto della sua retribuzione. Gli inquirenti lo accusano di aver preso soldi per agevolare incontri tra assessori e imprenditori, per aver aiutato alcuni amici a ottenere trattamenti privilegiati. Pasquaretta nega: «Mai agevolato nessuno. Io non avevo ruoli amministrativi, non partecipavo alle giunte, non firmavo atti né avevo potere di indirizzarli. Del resto è Giordana (l’ex capo di gabinetto, ndr) a dire che con la vicenda di Parco Dora non c’entravo niente e Sacco in Sala Rossa l’ha confermato spiegando che i contatti li teneva lui».

Sacco, l’assessore al Commercio che ha portato Pasquaretta alla corte di Appendino, è anche il destinatario di decine di sfoghi, colui che ha confermato ai pm le minacce alla sindaca: «Pensavo fosse un amico che potesse raccogliere i miei sfoghi in un momento difficile. Li ha percepiti in maniera sbagliata come dimostra il fatto che Appendino e Castelli (la sottosegretaria all’Economia, ndr) non si sono mai sentite minacciate». Eppure a loro si riferiva promettendo di far esplodere tutto se non avesse avuto un incarico una volta lasciato il Comune. «Con Appendino ho concordato che si sarebbe attivata per trovarmi una collocazione nel Movimento. L’idea era sua ed è stata lei a propormi di lavorare con Beghin e Castelli. Beghin poi si è tirata indietro per paura degli attivisti. Bastava dirlo subito, si sarebbe trovata un’altra soluzione. Ma io non ho mai minacciato nessuno, tanto meno Chiara. Aver perso il rapporto con lei e la sua famiglia è la cosa più triste di questa vicenda». —

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