Den, il ristorante dell'estrema accoglienza

Lo chef, Zaiyu, ha cominciato a cucinare, ragazzo, in un ryotei, un ristorante tradizionale in cui sua madre era una geisha, incaricata di conversare con i clienti. Il suo ristorante a Tokyo si fonda sul concetto giapponese dell’omotenashi, sull’arte di mettere i clienti a proprio agio, sia con i sapori che con l’accoglienza. Ok, è lontano, ma ecco perché bisogna passarci
Den il ristorante dell'estrema accoglienza

«Do it Japan Style!» ride Zaiyu Hasegawa davanti ai fotografi, invitando chi voglia un selfie a fare il segno di vittoria con indice e medio come usano i ragazzini giapponesi in vacanza: questo minuto quarantenne tokyota è uno dei cuochi più celebri chef del pianeta, che non ha perso la voglia di scherzare. A Tokyo, nella nuova sede nel quartiere di Aoyama, il suo ristorante Den ha due stelle Michelin e per la classifica 50 Best è undicesimo nel ranking mondiale e terzo nella classifica asiatica, eppure lui gioca col pop, con il junk food, con l’estetica kawaii (quella tutta carinerie dei cartoni animati del Sol Levante).

Lo incontriamo a Ein Prosit, la manifestazione gastronomica più intrigante d’Italia: Zaiyu porta la sua cucina all’Osteria Altran di Ruda, un passo da Udine, e sua moglie Emi, vestita in abito tradizionale, e trasferisce qui una delle altre specialità del loro locale, l’ospitalità. Infatti le fondamenta su cui è poggiato il Den sono costituite dal concetto giapponese dell’omotenashi, cioè l’arte di mettere i clienti a proprio agio, sia con i sapori che con l’accoglienza.

Recupero della cucina tradizionale, massima attenzione all’ospitalità: sembra un mantra di Massimo Bottura e invece è quello che fanno anche gli Hasegawa da dieci anni dall’altra parte del globo; tutto il mondo è paese. Del resto Zaiyu ha cominciato a cucinare, ragazzo, in un ryotei, un ristorante tradizionale in cui sua madre era una geisha, incaricata di conversare con i clienti. Dunque la sua cucina oggi è la versione pop di una cena kaiseki, quella imperiale, composta da numerose portate e da una cerimoniosità che sua moglie ha trasformato in allegria.

Pop perché sono tanti i piatti che arrivano in tavola con packaging divertenti. A partire dalla versione salata del monaka – un dolce tipico fatto da un wafer farcito che per l’occasione è ripieno di foie gras, chiuso in una bustina etichettata con un ideogramma –, o dal suo ormai celebre Dentucky Fried Chichen, un’ala di pollo con dentro riso e castagne (vista la stagione) servita in un box con sopra la faccina sorridente di Zaiyu e l’elenco dei ristoranti da lui amati in giro per il mondo, compresi alcuni italiani, da Lido 84 a Contraste. Proprio Matias Perdomo, chef del ristorante milanese, è in sala e dice: «Zaiyu mi piace perché non ha paura di improvvisare, di rischiare: è arrivato qua, ha guardato quello che c’era, ha inventato». Infatti lo stufato di wagyu che a Tokyo viene servito col riso alla giapponese, qui è portato in tavola con un risotto fatto preparare dallo chef dell’Osteria, Alessio Devidè: magari l’abbinamento è ridondante (grasso con grasso), ma è bello che le culture si mescolino, si incrocino.

A conferma di quel che dice Perdomo, il resto del menu parla di Giappone ma anche di autunno friulano: lo chawanmushi, la zuppa di funghi –«la cucina giapponese e quella italiana si somigliano, sono entrambe semplici e gustose, ricche di umami» dice lo chef – è fatta con i porcini raccolti questa notte; la ricciola cruda servita con alghe, erba cipollina e salsa ponzu, un animale da sei chili, è stata comprata stamattina; l’anguilla servita nuda, con solo qualche foglia d’insalata vaporizzata d’aceto, era viva fino a poco fa.

«Do it Japan Style!» scherza alla fine Zaiyu mentre per tutta la sera sua moglie Emi è passata tra i tavoli a chiacchierare, spiegare, sorridere, porgere con due mani i propri biglietti da visita su cui sta scritto «Big Boss». E per concludere, un dolce che evoca un frappuccino servito in una tazza con un logo verde simile a quello di Starbucks con la faccina del cuoco e la scritta «Star Comeback Den». Gusto, ironia, accoglienza sono i fari dell’esperienza dagli Hasegawa. Italia e Giappone non potrebbero essere due paesi più diversi: ma sulla cucina quanto si somigliano. Per verificarlo, basta prenotare uno dei 16 posti a sedere del Den, a Tokyo.