25 ottobre 2019 - 00:24

Il futuro secondo Philipp Rode: «Tutti in città senza auto private»

Il direttore del centro studi della LSE a 7: città sempre più affollate, smog in aumento, 1,5 milioni di morti l’anno per incidenti stradali; serve «un modello di sviluppo alternativo che ha nello sharing il suo punto forte». E vincente

di Silvia Morosi

Il futuro secondo Philipp Rode: «Tutti in città senza auto private»
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Philipp Rode è Executive Director di LSE Cities e Co-Director dell’Executive Master in Cities della London School of Economics and Political Science

I numeri lo confermano: è nelle città che abiterà il futuro. Nel 2050 più di due terzi della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane, come confermano i dati dell’ultimo rapporto World Urbanization Prospects dell’Onu. Una trasformazione radicale - guidata da Cina, India e Nigeria - che richiede di essere gestita, senza esitazioni, con una visione strategica: «Ci troviamo davanti a tre grandi sfide globali. La prima è quella della congestione, che gli economisti menzionerebbero al primo posto come preoccupazione in termini di riduzione della produttività delle città, ma che riguarda anche i singoli cittadini, infastiditi dalla quotidiana perdita di tempo trascorso sui trasporti che non riescono a far fronte alla domanda», spiega Philipp Rode, tra i relatori della Next Design Perspectives Conference e direttore esecutivo del LSE Cities, il centro della London School of Economics and Political Science che studia temi come governance, design e pianificazione urbana.

Impatto smog a Milano, Londra e Berlino

La seconda sfida, aggiunge, riguarda l’inquinamento atmosferico, perché «ci troviamo di fonte a una situazione non più tollerabile, come già messo in luce da numerosi studi sul nostro stato di salute. Il traffico, ormai, ha un impatto notevole sui residenti delle metropoli, anche in città molto avanzate come Milano, Londra e Berlino». Solo per avere un’idea di quanto sia drammatico il contesto, «l’Organizzazione mondiale della sanità parla a livello globale di milioni di morti premature legate all’inquinamento atmosferico». Infine, continua Rode, non bisogna dimenticare la sicurezza stradale, «una questione che nelle capitali dell’economia avanzata pensavamo di aver risolto e invece ci troviamo a tollerare un livello altissimo di morti giornaliere, anche con un’inversione di tendenze positive come negli Stati Uniti. Basta solo un numero, per dare un’idea della situazione: ogni anno nel mondo vi sono circa un milione e mezzo di morti su strada, e di questi la metà si registra nelle città».

Il futuro secondo Philipp Rode: «Tutti in città senza auto private»

L’inattività fisica e la minaccia obesità

Andando oltre, non possiamo ignorare «come diverse persone non si sentano abbastanza attive fisicamente, come mostra l’obesità che sta aumentando notevolmente, anche tra i bambini. E, infine, il consumo di suolo pubblico, a scapito della rigenerazione urbana su cui bisognerebbe puntare». Occorre quindi invertire il paradigma. Partendo, ad esempio, dal settore della mobilità e dei trasporti: «Si tratta in qualche modo di tornare alla funzione primaria delle città, quella di fornire accesso, che si tratti di merci, servizi, idee, ma anche di mettere in relazione le persone che vi abitano e che in essa si muovono», chiarisce con forza. «Molti dei nostri sistemi di trasporto in realtà, piuttosto che facilitare queste cose, le stanno attualmente distruggendo. Il vero cambiamento da fare è pensare che la mobilità abbia uno scopo principale, l’accesso, e che la città debba essere un luogo dove le persone possano anche sentirsi più felici».

«DOBBIAMO PROCEDERE
LENTAMENTE E NON PRECIPITARCI
IN SCELTE DI CUI POI PENTIRCI»

Metropoli “compatte”

Secondo Rode, una soluzione può essere fornita dal modello delle cosiddette “città compatte” e dalle politiche che le guidano, un tema già affrontato in un suo libro del 2018, Governing Compact Cities: How to Connect Planning, Design and Transport: «Parliamo di un nucleo concentrato, che permette una più semplice gestione della mobilità, con la conseguente diminuzione di sprechi energetici e l’abbattimento dei consumi, affidando il suo funzionamento non più esclusivamente al mezzo privato, caratteristica propria della città diffusa, ma favorendo l’utilizzo della mobilità pubblica». Chi pianifica lo sviluppo urbanistico deve tornare a riflettere proprio su questo: «Le emissioni dei veicoli ad uso singolo non sono, certo, la principale causa dell’inquinamento, ma in alcune città lo stanno diventando. Le attuali strade per il traffico pesante dividono le città», spiega Rode. Bisogna quindi cooperare per produrre accesso e portare la logica dello sharing anche nel campo dei trasporti, a partire dallo sviluppo di una mobilità micro e alternativa: «Penso alle biciclette, ai moderni hoverboard, agli scooter, ma anche a taxi elettrici e a minibus in grado di trasportare 20-50 persone», strumenti che offrono anche con distanze più brevi da percorrere rispetto al passato l’opportunità di viaggiare con modalità che consumano meno energia.

Dobbiamo lavorare per togliere le auto private

«La maggior parte dei miei colleghi economisti, chi si occupa di pianificazione dei trasporti, gli urbanisti e sempre più anche i sindaci delle città si rendono conto che questa è una soluzione che dobbiamo prendere molto sul serio: rimane ancora un sogno un futuro senza macchine private, ma è un’opportunità da non ignorare e su cui lavorare». È importante, quindi, «abbandonare l’interpretazione convenzionale dell’automobile vista essenzialmente come proprietà privata, un veicolo che ha cinque posti e di solito trasporta solo una persona e per il 96 per cento del tempo resta fermo, parcheggiato sul suolo pubblico», spiega Rode, lanciando una provocazione: «Ciò significa che non dovremmo considerare eccessivi i costi necessari per la produzione di veicoli high-tech e sofisticati, perché saranno sfruttati da molte più persone. La grande opportunità è quindi ridurre il numero di veicoli privati di cui abbiamo bisogno, investendo maggiormente nei materiali e nella produzione di veicoli alternativi».

«Non delegare agli algoritmi le funzioni umane»

Un aiuto nella gestione dei trasporti, chiarisce, può certamente arrivare dalle nuove tecnologie che rendono le città smart, intelligenti: «Occorre attenzione a non delegare agli algoritmi le funzioni umane, perdendone il controllo. Viviamo in un’epoca in cui siamo dominati dalla velocità, ma vogliamo riscoprire anche connessioni e identità. Le città del futuro dovranno continuare ad avere tre caratteristiche: dovranno essere orientate all’uomo, che si tratti di anziani, lavoratori o bambini; verdi; e ottimistiche, volte al bene, in termini di felicità e salute. Penso, insomma, che sull’argomento ci siano ancora delle incertezze: dobbiamo chiederci in che modo le tecnologie ci possono e potranno essere d’aiuto». Un impegno che deve riguardare tutti: singoli cittadini, organizzazioni del terzo settore, imprese, settore privato e, naturalmente, il governo centrale, responsabile di immaginare politiche urbane innovative, nelle abitazioni, nei trasporti, nello spazio pubblico, «con un ruolo di leadership che non può essere sostituito da macchine o algoritmi».

Scelte ponderate sul consumo di spazio

Ad eccezione dei settori nei quali stiamo risolvendo direttamente le più grandi crisi globali, come i cambiamenti climatici per i quali è necessario accelerare l’azione, «in altri campi dobbiamo procedere lentamente e non precipitarci in scelte di cui poi potremmo pentirci. È importante fare un passo indietro, rallentare, pensare, discutere e poi decidere». Una sfida per le aziende? «Possono avere un ruolo fondamentale, ma devono pensare di operare sempre più come fornitori di mobilità, come già molte case automobilistiche si sono impegnate a fare. Dal punto di vista urbano, la vecchia logica di sostituire un veicolo con motore a combustione interna con un veicolo a tecnologia a batteria non risolve certo il problema della congestione e del consumo di spazio». Occorre, in conclusione, «rompere la logica della produzione dell’automobile convenzionale da vendere a una singola persona, e diventare produttori di mezzi in sharing, autonomi, di fascia alta, tecnologicamente avanzati. Se i veicoli del futuro per la città sono e saranno pensati come condivisi, stiamo parlando del futuro, altrimenti rischiamo di continuare a parlare del passato».

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