Libia, 5 mila migranti nei "lager" ufficiali. Le accuse di Oxfam all'Italia
Decine di migliaia in mano alle organizzazioni criminali. La Ong chiede al governo italiano di revocare l'accordo con Tripoli
Il prossimo 3 novembre scade l’ultima data utile per la revoca dell'accordo tra Italia e Libia sulla gestione dei flussi migratori risalente al febbraio 2017, caldeggiato da Marco Minniti allora ministro dell'Interno del governo Gentiloni. Oxfam chiede all'attuale governo di non rinnovare l'intesa, mettendo la parola fine a quella che la Ong definisce come una delle pagine più tristi e vergognose della storia recente del nostro Paese. L'accordo non è mai stato ratificato dal Parlamento italiano contrariamente a quanto previsto in Costituzione (ex.art.80).
Quasi 5 mila migranti nei “lager” ufficiali, decine di migliaia in mano alle organizzazioni criminali sotto le bombe
“Come organizzazione, impegnata da anni nell'accoglienza dei richiedenti asilo, abbiamo raccolto testimonianze terribili di torture, stupri, omicidi avvenuti nei campi di detenzione libici. L’accordo che il nostro governo ha firmato con la Libia a febbraio 2017 ha di fatto consentito queste violazioni indicibili e non dovrebbe dunque essere tacitamente rinnovato." dice Paolo Pezzati, 'policy advisor' per la crisi migratoria di Oxfam Italia, "Al momento nei centri di detenzione ufficiali sono rinchiuse oltre 4.500 persone secondo l’UNHCR, mentre in quelli non ufficiali, gestiti dalle organizzazioni criminali, ne sono stimati a decine di migliaia. Uomini, donne e bambini che non solo subiscono trattamenti inumani e degradanti, ma rischiano di morire sotto le bombe in un paese in guerra. Un orrore a cui bisogna porre fine con un Piano di evacuazione coordinato dalle Nazioni Unite, che preveda una ridistribuzione dei migranti a livello europeo. E’ inoltre urgente una seria azione di monitoraggio e inchiesta di quanto successo fin qui, attraverso l’istituzione di una Commissione parlamentare.”
Finanziamenti delle missioni militari in Libia cresciuti anno per anno
Ignorando le condizioni disumane dei migranti in Libia, accusa la Ong, i Governi italiani che si sono succeduti dopo la firma dell’accordo hanno continuato a finanziare interventi in Libia, come la formazione di personale locale nei centri di detenzione ufficiali o la fornitura di mezzi terresti e navali alla Guardia costiera e alle autorità libiche, per un costo di oltre 150 milioni di euro, cresciuto di anno in anno: circa 43,5 di euro nel 2017, più di 51 milioni nel 2018 e oltre 56 milioni nel 2019.
"I soldi spesi dai Governi Gentiloni e Conte sono serviti a finanziare la Guardia costiera libica che, come denunciato dalle Nazioni unite, impiega alcuni dei più pericolosi trafficanti di esseri umani," ha aggiunto Pezzati, "Mentre non sono serviti a porre fine alle morti in mare e al traffico di esseri umani. Nel 2019, 692 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo centrale con un tasso di mortalità sui tentativi di traversata balzato al 3,5% dal 2,1% del 2017. Per questo chiediamo al Governo di non rinnovare l’accordo Italia-Libia e non rifinanziare le missioni militari in Libia. Pensiamo sia gravissimo che il M5S si sia astenuto al Parlamento europeo sul rafforzamento delle attività di salvataggio in mare, mentre temiamo che il PD, dopo essersi astenuto sul rinnovo delle missioni militari a giugno scorso, possa fare adesso passi indietro. Nel quadro attuale, riteniamo inoltre prioritario che il Governo riveda quanto prima i Decreti sicurezza e si faccia promotore per una missione navale di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo a livello europeo."
L’Italia alla sbarra
Intanto l’Italia rischia adesso una condanna per violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, a due anni dal naufragio che nella notte tra il 5 e il 6 novembre 2017 causò la morte di oltre 50 migranti in acque internazionali. Il tutto a seguito del ricorso alla Corte europea dei diritti umani presentato da 17 cittadini originari di Nigeria e Gambia, alcuni dei quali videro annegare i propri figli. Un tragico naufragio di un barcone con 150 disperati a bordo, da cui emergerebbero precise responsabilità da parte della autorità sia libiche che italiane. Dalla ricostruzione dei fatti presentata alla Corte vi sono accuse rivolte alla Guardia Costiere libica: per non aver fornito dotazioni di sicurezza alle persone finite in mare, per minacce a mano armata e percosse e per violenze esercitate nei centri di detenzione, dove parte dei sopravvissuti fu riportata.
"All’Italia viene invece contestata la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che riguardano da una parte l’esposizione a tortura, trattamenti inumani e schiavitù dei migranti e dall'altra il non rispetto della libertà di circolazione e del divieto di espulsioni collettive," conclude Pezzati, "In particolare si contesta all'Italia di non poter non essere, all'epoca dei fatti, già a conoscenza delle gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate in Libia verso i naufraghi riportati nei centri di detenzione ufficiali. Nel procedimento Oxfam interverrà con un documento che - in base alle testimonianze raccolte dai migranti sbarcati in Sicilia e ad una ricostruzione dei fatti prima e dopo il naufragio - dimostra precise responsabilità delle autorità italiane nell'avere esposto le persone riportate indietro dalla Guardia costiera libica al rischio di subire torture e trattamenti inumani”.