28 ottobre 2019 - 17:20

Trentino Alto-Adige, la regione dei record del non profit

Su tutti i numeri del Terzo settore , oltre che sulla spesa sociale, Bolzano e Trento guidano la classifica italiana. Welfare a «chilometro zero» e «senso di comunità». Il mondo cooperativo produce 2,35 miliardi. Problemi? Burocrazia e ricambio generazionale

di Giulio Sensi

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Dietro ai numeri record del Terzo settore nel Trentino Alto Adige (che saranno raccontati martedì 29 ottobre a Trento durante la tappa del viaggio di Buone Notizie) c’è una storia collettiva: il bisogno di comunità delle valli isolate che ha trovato nel tessuto associativo il suo sviluppo. La dimensione sociale si è unita a doppio filo a quella culturale. Così il volontariato è entrato nel dna di queste popolazioni, pur con molte differenze.

Nei grafici Istat su volontariato e non profit le provincie di Trento e Bolzano staccano tutti; gli indici di sviluppo e di qualità della vita sono ai massimi nazionali e sopra le medie europee. I dati del Csv Trentino, basati su ricerche degli ultimi anni, ne raccontano la specificità. «L’origine di questi numeri - spiega il presidente del Csv Trentino Non Profit Network, Giorgio Casagranda - è antica e affonda le radici nella genesi di una popolazione che ha tante periferie lontane dai centri urbani. Nel tempo sono cresciute anche per fare supplenza alle istituzioni». Poi gli abitanti di queste terre ci hanno preso gusto e oggi è impossibile incontrare luoghi in cui non proliferino associazioni culturali, ricreative, sportive, assistenziali.

I soci di enti non profit e i volontari sono buona parte della popolazione attiva e tutti, giovani e meno giovani, contribuiscono alla costruzione della dimensione comunitaria che permea la società. Per ogni problema c’è una soluzione offerta anche dalla partecipazione attiva dei cittadini. «Ci sono molte forme di volontariato -racconta ancora Casagranda - e alcune sono peculiari: si pensi ai Vigili del Fuoco volontari, nati come sentinelle del territorio. Ma poi c’è la dimensione culturale e sportiva che rappresenta una fetta importantissima, circa la metà, del volontariato. Molto sviluppata è anche quella socio-sanitaria con associazioni che si occupano di malattie puntuali e gravi come l’Alzheimer o l’oncologia: patologie diffuse, anche per l’età avanzata della popolazione». Dopodiché da anni sono nate nuove forme di civismo. «Il volontariato dei beni comuni - spiega Casagranda - è un fenomeno recente che valorizza sia le associazioni sia la singola persona. Negli orti di comunità pensionati e giovani si mettono insieme e coltivano pezzi di terreno per donare il cibo a chi ne ha bisogno».

La lotta allo spreco del cibo è un fronte dai numeri impressionanti. L’associazione Trentino Solidale (di cui parliamo più avanti nell’inserto) ha una flotta di mezzi e di persone che ogni giorno recuperano le eccedenze dei supermercati e le donano a centinaia di famiglie in difficoltà. La risposta all’autismo, leggerete anche questo, si sviluppa tra l’altro con una Fondazione che eroga servizi innovativi, contando su strutture moderne di accoglienza. Nascono e si sviluppano progetti partecipati di innovazione nel welfare (il welfare «a chilometro zero») che coinvolgono la gente comune. I commercialisti si mettono gratuitamente a fianco del volontariato per fornire consulenze sulla riforma del Terzo settore e così via.

Nella provincia di Bolzano invece il Centro servizi al volontariato si è costituito poco più di un anno fa. «Abbiamo un sistema di volontariato capillare - racconta il vicepresidente del Csv Sergio Bonagura - con una grande densità di organizzazioni di protezione civile, sportive, culturali, ricreative. È in tutti i paesi e in prevalenza di lingua tedesca. Possiamo dire che nel 90 per cento del territorio c’è un presidio ambientale e culturale importante».

Anche la dimensione economica di queste terre è molto «sociale»: caratteristica peculiare di un territorio in cui c’è una specie di convergenza fra economia sociale e realtà del Terzo settore. Qua si trova la radice dell’economia solidale con i Gruppi di acquisto nati ormai decenni fa. E va da sé che la dimensione comunitaria si esprima anche nei settori economici dove la cooperazione svolge un ruolo fondamentale. Secondo i dati del centro di ricerca Euricse, nel 2017 il valore aggiunto della cooperazione trentina è stato di 2,35 miliardi di euro, cioè il 13,6 per cento del prodotto interno lordo provinciale. Nel settore lavorano in 43mila e fra il 2012 e il 2017 gli addetti in cooperativa sono aumentati del 26,6per cento. «Il ruolo della cooperazione nel sistema economico trentino -spiega il ricercatore di Euricse, Eddi Fontanari- è decisamente rilevante. Alcuni settori come l’agricoltura, il commercio (soprattutto alimentare), l’intermediazione monetaria e l’assistenza sociale raggiungono percentuali di incidenza notevoli».

Anche le cooperative sociali hanno un peso rilevante. «Quelle di tipo A - prosegue Fontanari - prestano la loro attività a favore di 19 mila persone, mentre le cooperative di tipo B inseriscono nel mondo del lavoro almeno 1.250 persone svantaggiate». La loro attività è strettamente legata alla pubblica amministrazione: il 65,8 per cento vive in prevalenza di entrate pubbliche, contro il 43,8 per cento del dato nazionale. «Tuttavia - spiega Fontanari - il rapporto col pubblico è regolato da contratti di vendita di beni e servizi e non basato sulla mera erogazione di contributi». Un quadro invidiabile, ma le sfide sono molte. E la prima riguarda la capacità di fare rete fra le tantissime realtà.

Anche perché proprio il forte senso di comunità, in quanto legato anche all’autonomia e all’identità, finisce a volte per diventare un freno. «Il Csv - spiega Casagranda - lavora nella logica della rete, anche con le istituzioni. Ma intrecciata a questa sfida c’è quella del ricambio generazionale: spesso nascono associazioni che fanno le stesse cose perché non c’è ricambio nelle esistenti. Stiamo facendo un forte lavoro nelle scuole per far prendere consapevolezza ai giovani e proporsi in modo efficace». «Un’altra grande sfida - prosegue - riguarda il rapporto con la pubblica amministrazione. Non vogliamo morire di burocrazia e ce n’è troppa, anche in relazione al nuovo codice del Terzo settore. Le associazioni hanno timore dei troppi adempimenti. Così come serve più attenzione a riconoscere e sostenere il volontariato: nella pubblica amministrazione operano persone illuminate e capaci, ma a volte non si capisce che il volontariato ha dei costi e vanno coperti tutti, anche per valorizzare la gratuità che ci anima».

Non da meno sono le sfide della cooperazione sociale. «Una di queste - spiega Fontanari - riguarda il miglioramento della collaborazione con la pubblica amministrazione: puntare sempre più al potenziamento del lavoro di rete, costruendo legami economici e progettuali sia tra di loro che con le altre imprese. È infine fondamentale la ricerca di una diversificazione dei settori d’attività. In tal senso poco è stato fatto, per esempio, per favorire un loro sviluppo nei servizi sanitari».

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