Mafia Capitale, secondo la Cassazione «non era associazione mafiosa»

La Suprema Corte ha stabilito che si trattava di due associazioni a delinquere «semplici», e ha escluso l’aggravante a carico degli imputati
Mafia Capitale secondo la Cassazione «non era associazione mafiosa»

Il Mondo di Mezzo (ribattezzato «Mafia Capitale») non era mafia: lo ha stabilito la Corte di Cassazione, secondo cui si trattava di due associazioni, una impegnata nelle estorsioni e nelle intimidazioni, guidata da Massimo Carminati, e l’altra dedita a corrompere e manipolare le gare d’appalto, con a capo Salvatore Buzzi.

Il 416 bis, che era stato riconosciuto nel secondo grado d’appello, è stato negato, e le condanne di molti dei 32 imputati, di cui 17 condannati dalla Corte d'Appello di Roma, a vario titolo, per mafia (per associazione a delinquere di stampo mafioso, o con l'aggravante mafiosa o, ancora, per concorso esterno), saranno rideterminate in un nuovo processo d’appello. Per quanto riguarda Buzzi, la Cassazione lo ha assolto da due delle accuse contestategli, di turbativa d'asta e corruzione, mentre per Carminati cade anche un'accusa di intestazione fittizia di beni.

Per altri, la condanna è già definitiva: l’ex presidente del consiglio comunale, il dem Mirko Coratti, è condannato a quattro anni e sei mesi, l’ex consigliere pidiellino Giordano Tredicine a due anni e sei mesi e l’ex presidente di Ostia, il dem Andrea Tassone, a cinque anni.

Il 2 dicembre 2014 erano state arrestate 37 persone, tra cui Buzzi e Carminati. Nel 2015, la seconda ondata di arresti: 19 persone finirono in carcere, 25 ai domiciliari, altre 21 indagate a piede libero e furono disposte altrettante perquisizioni. Ma, secondo la Cassazione, proprio come avevano stabilito i giudici del I grado, non esisteva un’associazione mafiosa, ma c’erano due associazioni a delinquere «semplici». La Procura, invece, sosteneva l’esistenza di una mafia che imponeva la propria volontà con violenza. «Questa sentenza è una lezione di diritto a molti dottori in legge che questi anni hanno pontificato in merito», ha spiegato Alessandro Diddi, difensore di Buzzi.

«Non trovo giustificate le esultanze di qualcuno, visto che la Suprema Corte ha riconosciuto l'esistenza di associazioni, nei termini affermati dalla sentenza di primo grado, che aveva irrogato pene non modeste», precisa il procuratore generale della Capitale, Giovanni Salvi. «Due associazioni a delinquere che erano state capaci di infiltrare in profondità la macchina amministrativa e politica di Roma».

Secondo la sindaca Virginia Raggi, «Questa sentenza conferma comunque il sodalizio criminale. È  stato scritto un capitolo buio per la nostra città».

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