#paroledasalvare: ma tu lo sai cosa significa indefesso?

Lo storico curatore dello Zingarelli, Mario Cannella, l'ha chiesto al nipotino. E, a risposta negativa, ha inserito il termine tra le tremila parole da salvare, al centro del progetto itinerante della Casa editrice. Qui il lessicologo ci racconta come si ottiene il «fiorellino» e quel che possiamo fare per evitare «l'estinzione»
Zanichelli in tour per «salvare» tremila parole che non usiamo più

In Palombella Rossa, Nanni Moretti si scagliava contro una giornalista, colpevole di aver utilizzato espressioni come «trend negativo», «kitsch» o «cheap», al grido di «le parole sono importanti, bisogna trovare quelle giuste!». Ogni anno, però, di parole della lingua italiana ne usiamo sempre meno. Se il dizionario Zanichelli, il più antico d’Italia, ne contiene oltre 15 mila, sono oltre tremila quelle «spesso trascurate» a favore di sinonimi più comuni ma contemporaneamente più generici e meno azzeccati. Così la casa editrice, nell’edizione 2020, quei termini “in pericolo” li ha voluti raccogliere e segnalare graficamente con un fiorellino (un trifoglio), lanciando il progetto le #paroledasalvare.

L’iniziativa prevede anche un tour: un vocabolario gigante, alto circa quattro metri e largo sei, sta facendo tappa in diverse città italiane (la prima è stata Milano, l’ultima a inizio novembre sarà Palermo), dove ai cittadini viene chiesto di scegliere una parola, adottarla (tramite una cartolina, un post sui social media o una maglietta della speciale capsule collection di MSGM), e prendersene cura, usandola in modo opportuno.

Perché in molti casi le #paroledasalvare (come ondìvago, marachella, pantagruelico, malvezzo, zizzania, premonitore) si rivelano insostituibili: per farne a meno si è costretti a usare al loro posto spiegazioni articolate, ma anche molto meno ricche di sfumature espressive. “Perderle” sarebbe quindi proprio un peccato, spiega il lessicologo Mario Cannella, colui che da quasi trent'anni è a capo della «fabbrica delle parole», ossia che cura lo Zanichelli: «La parole da salvare sono quelle da riscoprire e da usare, oggi la comunicazione spesso appare appiattita, mingherlina o striminzita. Mi capita di ascoltare tantissimi “cosa”, “fare”, “testardo”, “timido”, mentre tanti altri vocaboli un tempo di uso comune sono quasi spariti».

Come si decide se una parola è da “salvare”?«Non c’è un algoritmo infallibile, dipende un po’ dalla sensibilità di chi cura il dizionario, dall’esperienza. Io faccio anche ricorso alla “prova nipotino”».

In che cosa consiste?«Mio nipote ha 13 anni, frequenta la terza media. E anche i ragazzi amano giocare con le parole, le mescolano. Ogni tanto pronuncio in sua presenza qualche parola “strana” solo per vedere che faccia fa. (ride, ndr). Ed è sempre a lui che chiedo quando ho qualche dubbio. Recentemente gli ho detto “Tu lo sai cosa significa indefesso?”. La risposta è stata "no", e quindi vicino al termine ho aggiunto il fiorellino».

Cosa si prova a sapere sempre qual è la parola giusta da usare?«Provo gratificazione. Bisognerebbe sempre aver cura delle parole se no il linguaggio diventa scialbo… mmm chissà se scialbo ha il fiorellino. Secondo me sì, aspetti un attimo che controllo... Sì, ce l’ha».

Cinque #paroledasalvare a cui è particolarmente «affezionato»?«Boria (darsi molte arie), perché sono di origine triestina e lì la bora è il vento più famoso; adombrare, adombrarsi (oscurare, incupirsi), lo si dice anche riferito ai cavalli che si spaventano delle ombre. E poi abbacinare (abbagliare, illudere) perché ha un’origine interessante: un antico supplizio prevedeva di venire accecati con un bacino di metallo rovente; e bisboccia (baldoria, festa), che ha un certo fascino, e infine leccornìa che mi fa venire in ente un golosone che si lecca i baffi, e le dita».

Qual è oggi lo stato della nostra lingua, parlata e scritta?«L’italiano sta benissimo: la lingua va avanti, cresce, si evolve. A peggiorare è l’uso che ne facciamo. La trascuriamo. Ci sono i social, whatsapp e simili, che velocizzano la comunicazione ma allo stesso tempo la semplificano, la riducono all’osso. La sintassi ne viene fuori impoverita. Le frasi sono brevi, la costruzione è sempre più semplice. Attenzione, questo non vuol dire che la tecnologia sia un male. Sul mio cellulare, per esempio, c’è lo Zingarelli in versione app: comodissimo. E uso le funzioni di Whatsapp anche per lavoro. Quando sono in giro e noto qualche espressione particolare, registro un vocale che dopo riascolto. Un tempo, invece, giravo col taccuino e dovevo appuntare tutto...».

L’ultima parola che ha notato?«Al supermercato ho appena letto “pomodori insalatari”. Farò una ricerca…».

Per imparare nuove parole, il suo consiglio?«Leggere, leggere e ancora leggere. Partendo dai classici. Vanno bene anche gli e-book, io li uso soprattutto in viaggio, ma il libro che si ama lo si compra sempre in versione cartacea».

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