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Whirlpool: pronti a trattare
sulla riconversione di Napoli

di Rita Querzè

Whirlpool: pronti a trattare sulla riconversione di Napoli

Le responsabilità del cortocircuito Whirlpool sono diverse ma ora la priorità è una: trovare una soluzione per lo stabilimento di Napoli e i suoi 400 dipendenti. Prima della chiusura prevista il 31 ottobre. Nell’ufficio al terzo piano del quartier generale della multinazionale americana, alle porte di Milano, c’è Luigi La Morgia, ceo di Whirlpool Italia. Con lui Giovanni Ferrario, il manager di lungo corso (ex Pirelli, ex Italcementi) segnalato da Whirlpool come possibile subentrante. La proposta sembra ancora in campo. Anche se Ferrario dice: «Sarei ben felice di illustrarla a governo e Invitalia. Per intavolare qualunque discorso, però, dovrebbe cambiare il clima».

I contenuti del piano non sono mai stati oggetto del confronto. La Morgia e Ferrario hanno accettato di illustrarceli. Prima, però, va affrontata una questione. Cosa è successo dal 25 ottobre 2018, quando la multinazionale Usa aveva preso un preciso impegno a rilanciare Napoli? «È successo che a gennaio sono arrivati i dazi di Trump e sono crollate le esportazioni, che rappresentavano un terzo della produzione dello stabilimento. Ma anche che in Italia le lavatrici alto di gamma che in negozio costano 7-800 euro non si vendono più», risponde La Morgia.

«Non crediamo si tratti di una fase, il cambiamento è strutturale. Per capirci: dallo stabilimento di Napoli nel 2009 sono uscite 700 mila lavatrici e l’anno scorso siamo scesi sotto le 300 mila». Però Whirlpool ha intascato gli incentivi dello Stato italiano. E il governo pensa di farseli restituire. «Non è un incentivo in più o in meno che cambia le cose. Il punto è tutto industriale: il business non regge. In 4 anni a fronte di 700 milioni di investimenti abbiamo ricevuto 20-22 milioni di incentivi attraverso bandi nazionali e regionali — fa il punto La Morgia —. In Italia abbiamo altri cinque stabilimenti in buona salute. Il piano di investimenti dal 2019 al 2021 in Italia è di 250 milioni di cui 90 già mobilitati. È confermato. L’Italia per Whirlpool è strategica». Sì, però le lavatrici che dal primo novembre non produrrete più qui da quale stabilimento usciranno? Saranno prodotte in Polonia? «Non abbiamo deciso».

Veniamo a ora alle prospettive per Napoli. Il business della Prs di cui Ferrario è imprenditore di riferimento (e a breve anche azionista) è quello dei container refrigerati per il trasporto del fresco. «Parliamo di container innovativi e brevettati, che possono passare dal treno alla nave al camion senza che la merce sia spostata. Prs possiede il 32% di Aok-Prs coldchain ltd, società cinese che inizierà la produzione destinata al mercato asiatico all’inizio del 2020», spiega Ferrario. Si sussurra che Prs abbia solo 2 milioni di capitale... «Il patrimonio sarà di circa 30 milioni, nel corso dei primi 27 mesi investiremo in macchinari e attrezzature 23,6 milioni, i mezzi finanziari non mancano.

Negli aspetti tecnici, ci supporta nella fase di engineering con la divisione macchinari e attrezzature Alfagomma, multinazionale italiana specializzata nella produzione di tubi flessibili e raccordi con 3.800 addetti, 438 milioni fatturato e 22 stabilimenti in 10 Paesi». Quanti lavoratori sarebbero riassorbiti ed entro quando? «Nei nostri piani tutti a regime all’inizio del 2022. Dalla fine del 2020 in poi inizierebbero a entrare gradualmente a scaglioni». Whirlpool sarebbe disponibile a rimandare la cessione del ramo d’azienda oltre il 31 ottobre se ci fosse una nuova convocazione del governo per parlare della proposta di reindustrializzazione di Prs? «Al momento nessuno ci ha proposto nulla...», glissa La Morgia. Ma se la proposta arrivasse? «Solo la nostra permanenza sul sito non è in campo».

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