legge sulla stampa

Reato sottrarre dall’edicola del paese tutte le copie del giornale sgradito

di Patrizia Maciocchi

2' di lettura

Rischia una condanna da sei mesi a tre anni chi asporta dall’edicola del paese centinaia di copie del giornale locale, per evitare che i cittadini leggano un articolo considerato diffamante. In pochi, nel piccolo centro del Ferrarese, avrebbero scommesso che il fattaccio, compiuto dal direttore generale del Comune, avrebbe varcato le soglie del distretto giudiziario. Invece la vicenda è arrivata in Cassazione, dove per il ricorrente - che aveva avuto l’idea di mettere il bavaglio alla stampa quando era ormai troppo tardi - è stata confermata la condanna prevista dalla legge sulla stampa per il reato di asportazione, distruzione o deterioramento di stampati .

L’operazione “bavaglio” - Il blitz, anche faticoso, era consistito nel prelevare dalla rivendita vari pacchi della pubblicazione gratuita, e caricarli sull’auto del Comune, anche alla presenza del sindaco: sul numero delle copie non c’è certezza dalle 400 alle 600. Un’operazione, fatta non proprio con destrezza, in pieno giorno e per di più oltre 24 ore dopo l’uscita dello stampato. Il gesto non poteva passare inosservato. E il ricorrente ha cercato di giustificarlo senza convincere i giudici. Il city manager aveva negato di voler impedire la lettura del pezzo nel quale un giornalista aveva criticato l’operato suo e degli amministratori: l’intento era solo quello di portare il periodico in un’altra sede. Versione discordante con un comportamento che lo incastra alle sue responsabilità: mentre prelevava le copie insultava il redattore , rivolgendogli «imprecazioni ed invettive». I giudici non danno peso neppure ad un altro argomento usato dalla difesa: quello della mancata tempestività. Se davvero lo scopo fosse stato quello di impedire la lettura dello scritto “incriminato”, il ricorrente si sarebbe mosso prima e non si sarebbe limitato a prelevare le rese.

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La sentenza

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Il giornale che va a ruba - Per la Cassazione però la reazione rallentata non c’entra con il “dolo”. L’autore del pezzo, che era anche direttore del giornale e amministratore unico dell’editrice, aveva colto la palla al balzo per scrivere il suo primo editoriale dal titolo «Il nostro giornale va a ruba». E la società editrice aveva anche proposto una composizione “bonaria” della questione, che si sarebbe chiusa con una transazione se l’imputato avesse pagato i costi della ristampa. Rifiutare la proposta ragionevole non è stato affatto un buon affare. La Cassazione ha negato il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Per la Suprema corte, infatti, l’imputato aveva dimostrato un assoluto disprezzo per la libertà di stampa e di opinione, espressa anche dall’autore in maniera garbata e non ingiuriosa. E per la legalità in generale. Senza poi mostrare alcun pentimento. Il no all’applicazione dell’articolo 131-bis del Codice penale, che comporta la non punibilità è giustificato «dalla seria offesa» arrecata al bene giuridico tutelato dalla legge sulla stampa. E il focoso manager paga le spese di tutti i gradi di giudizio, in tutto poco meno di 10 mila euro: un caro prezzo per delle copie gratuite.

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