ROMA. Assolta perché il fatto non sussiste. Si è chiuso così il processo per la 31enne Marina Addati, la mamma arrestata e poi finita sotto processo a Roma con l'accusa di tentato omicidio perché sospettata di aver cercato di uccidere la figlia di tre anni dandole per almeno tre volte sedativi a base di benzodiazepine con il biberon, mentre la piccola era ricoverata all'ospedale Bambino Gesù di Roma.
Per i giudici della quinta sezione penale del tribunale, è bastata una camera di consiglio di oltre due ore per smontare le argomentazioni del pm Eleonora Fini che aveva concluso la requisitoria sollecitando una condanna dell'imputata a 12 anni e mezzo di carcere. Addati, presente in aula con il braccialetto elettronico alla caviglia (era agli arresti domiciliari, ma tornerà libera stasera), è esplosa in lacrime alla lettura del dispositivo della sentenza, consolata dall'abbraccio affettuoso del marito.
La vicenda
La donna venne arrestata nel gennaio del 2017 e rinchiusa nel carcere di Benevento. Nel novembre dell'anno prima il tribunale per i minori di Napoli chiese e ottenne la sospensione «dell'esercizio della responsabilità genitoriale» per lei e suo marito basandosi sul fatto che la donna «in assenza di alcuna prescrizione medica aveva somministrato nel tempo alla figlia farmaci neurolettici e antiepilettici nella negligente omissione di controllo da parte del padre». Anche l'altra figlia più piccola, quando era ricoverata all'ospedale Santobono, sarebbe stata sedata dalla madre, tanto che è pendente a Napoli a carico della donna un analogo procedimento penale che non potrà a questo punto non tenere conto dell'esito dibattimentale di Roma. Quello che l'istruttoria non ha chiarito è che cosa avrebbe spinto Marina Addati ad agire nel modo ipotizzato dalla procura, fermo restando che per i periti era capace di intendere e di volere. Il pm Fini ha fatto cenno alla sindrome di Munchausen, un disturbo psicologico che porta il più delle volte una madre a provocare danni fisici al figlio per farlo credere malato così da attirare l'attenzione su di sé. Il dato certo, evidenziato dal rappresentante della pubblica accusa e anche dall'avvocato di parte civile (che tutela gli interessi dell'altra bambina) è che la piccola, dopo aver rischiato la vita per un arresto cardiaco al Bambino Gesù, ha cominciato a stare sensibilmente meglio soltanto quando la madre (con l'arresto) è stata tenuta a debita distanza. Circostanza, però, negata con forza dalla difesa dell'imputata secondo cui «questo è stato un processo indiziario, basato sulle superficiali conclusioni dei consulenti della procura e dei periti del tribunale perché non è emerso nessun elemento che dimostrasse come lo stato di salute della piccola fosse da collegare a condotte delittuose della donna. La bambina era affetta da problemi respiratori gravi, era alle prese con una infezione seria e la madre mai ha agito per avvelenare la figlia».