I pasticci (inutili) nella Ue

I pasticci (inutili) nella Ue

Il 14 luglio non è una festa soltanto francese. I princìpi affermatisi 230 anni fa — libertà, uguaglianza di fronte alla legge, fraternità — hanno assunto un valore universale, a dispetto dei rovesci del Paese in cui sono nati: la caduta di Napoleone e della sua Grande Armée, le sconfitte subite per mano dei prussiani e dei nazisti, i disastri coloniali di Dien Bien Phu e di Algeri. Oggi si festeggiano i valori fondativi dell’Europa. Che non è soltanto una sovrastruttura burocratica.

C’è un’Europa della politica, che è spesso in ritardo sulle esigenze dei popoli, e in queste settimane sta tentando a fatica di darsi una nuova leadership, dopo quella deludente di Juncker. E c’è un’Europa della società e dell’economia, che è molto più avanti, e da tempo non ragiona più in termini nazionali, non usa più le parole «noi» e «loro». Si sono tratte conclusioni sconsolate dalla notte del San Paolo di Napoli, che alla sfilata inaugurale delle Universiadi — un successo del Sud — ha acclamato gli argentini, astutamente muniti della maglia numero 10 di Maradona, e fischiato francesi e tedeschi, come se fossero gli antagonisti di un derby. Ma il ragionamento si può rovesciare. Il derby si gioca con i propri concittadini. Francesi e tedeschi ormai lo sono.

Il declino, forse la malattia, di Angela Merkel e l’avvento di Ursula von der Leyen non riguardano solo la politica tedesca; sono la nostra cronaca, la nostra storia. I sistemi economici di Italia e Francia sono sempre più intrecciati: a volte si rivelano litigiosi, dalla grande finanza a Mediaset, da Luxottica allo sciopero degli operai normanni della Ferrero; ma è anche l’occasione in cui si scopre che, se i francesi hanno fatto incetta dei marchi del lusso italiano, buona parte della Nutella si fa oltralpe, e ancora una volta ragionare in termini di «noi» e «loro» ha sempre meno senso. Se la manifattura italiana, pur indebolita, è sopravvissuta a un decennio di crisi, lo deve – oltre che alla resistenza di imprenditori e lavoratori - alla stabilità monetaria, al ruolo della Banca centrale sotto la guida di Draghi, alle esportazioni, e anche alla libertà di movimento delle persone, che ha costruito la prima generazione autenticamente europea.

I nuovi leader della politica italiana, di solito abili ad auscultare le correnti della società, dovrebbero tenerne conto. In questi mesi hanno pasticciato parecchio. I Cinque Stelle hanno teso la mano ai Gilet Gialli, proprio quando stavano dilapidando nella violenza l’iniziale consenso popolare. La Lega ha inseguito rapporti privilegiati con la Casa Bianca e il Cremlino, talora mediati da personaggi improbabili. Ma anziché accreditarsi come «l’altra Europa», i partiti di governo farebbero meglio a confrontarsi con quella che c’è, cercando di migliorarla e magari di contare un po’ di più. E’ la direzione in cui cercano di muoversi Conte, Tria, Moavero Milanesi, grazie al sostegno del Quirinale. Del resto anche i più accaniti sovranisti, compresa Marine Le Pen, ormai non parlano più di uscire dalla moneta unica e dalle istituzioni di Bruxelles, ma discutono come riformarle.

Il lavoro non manca. Più che trincerarsi nelle ridotte nazionali, servirà terminare la costruzione della casa comune. Fino a quando i piccoli Paesi faranno concorrenza sleale ai grandi, costruendo paradisi fiscali per le multinazionali e nicchie per i pensionati benestanti, qualsiasi progetto per il governo dell’economia e l’armonizzazione dei sistemi tributari resterà lettera morta.

L’Europa non ha un credito illimitato. Non può perdere altro tempo. Ma resta il nostro presente, e il nostro destino necessario. La Brexit doveva essere l’inizio della disgregazione; è diventata al contrario il monito di quanto sia difficile uscire dal mercato comune, da un sistema di regole e di opportunità condivise.

Non sorprende che, in un momento cruciale della sua storia, l’Europa si sia affidata alle donne. Al di là della statura delle prescelte, che si vedrà nel tempo, stiamo vivendo un cambio d’epoca. Alle donne in politica e in genere nella vita pubblica è richiesto di più. Con loro si è sempre più severe. Se Greta Thunberg fosse un ragazzo, non avrebbe attirato tante ironie al limite del sarcasmo. Però non è un ragazzo; è una giovane donna. E le donne, che da sempre padroneggiano la vita e la morte nel chiuso delle case, ora che ne sono uscite vengono chiamate a prendere decisioni — dall’ambiente all’intelligenza artificiale, dalla coesione sociale alla nuova guerra fredda con Russia e Cina — che riguardano la vita e la morte. Se riusciranno, la bistrattata Europa potrà a sorpresa rivelarsi l’avanguardia di quello che al tempo della prima guerra fredda si chiamava, con giustificata enfasi, il mondo libero.

13 luglio 2019, 20:45 - modifica il 14 luglio 2019 | 07:29

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