11 luglio 2019 13:15

“Se dovesse arrivare una dalai lama donna, dovrebbe essere soprattutto attraente”, altrimenti “la gente preferirebbe non vederla”. Così ha risposto il quasi ottantaquattrenne leader spirituale tibetano, il dalai lama, alla domanda se una donna avrebbe potuto prendere il suo posto. Non è la prima volta che si esprime in questo modo. E neppure allora, nel 2015, la cosa era stata presa bene dalle donne e da altri attivisti per i diritti umani, turbati dal sessismo del dalai lama.

Ma sembra che non abbia cambiato idea. La giornalista della Bbc che lo ha intervistato a Dharamsala, in India, dove è vissuto negli ultimi sessant’anni, voleva essere certa che quello che aveva affermato nel 2015 era proprio quello che voleva dire. A quanto pare sì. In seguito, provando a scusarsi e a chiarire il suo pensiero, ha aggiunto che nel buddismo sono importanti sia la bellezza interiore sia quella esteriore, ed entrambe devono essere coltivate. I chiarimenti sono però altrettanto sorprendenti, poiché contrastano con il valore della bellezza e della pace interiori esaltato nella pratica buddista, per esempio nello yoga.

Lo sconcerto più grande è che un uomo noto per la sua saggezza, la sua tolleranza e la sua vicinanza a tutta l’umanità, possa fare suo un punto di vista che rinforza senza mezzi termini l’idea secondo cui le donne devono essere giudicate dal loro aspetto esteriore, e che questo sia grosso modo tutto ciò che hanno da offrire al mondo. Il dalai lama naturalmente non si è mai espresso in questi termini riguardo a un eventuale successore maschio, né tantomeno riguardo a se stesso. Pur essendo un leader spirituale, tutto sommato non è né giovane né bello, eppure a migliaia si mettono in fila per intravederne il viso. Perché una dalai lama donna non dovrebbe essere in grado di conquistarsi lo stesso consenso o svolgere la stessa funzione?

Tutti quelli che fanno commenti sessisti sono ben consapevoli di essere offensivi

La controversia è illuminante sia per il contenuto sia per il contesto. Le donne dopo tutto sono più che abituate al fatto che uomini “buoni” dicano cose sessiste, che poi vengono attribuite a punti di vista antiquati. Senza dubbio la prima reazione è quella di tener conto del fatto che il dalai lama ha più di ottant’anni e non ha molta consapevolezza dell’inaccettabilità delle sue affermazioni. Questo potrebbe anche essere vero, ma somiglia moltissimo alle giustificazioni che troviamo sempre per le affermazioni stupide e sessiste pronunciate dagli uomini che denigrano le donne.

Al dalai lama è stata data una seconda possibilità, e le sue intenzioni sono state chiarite abbastanza. Meno chiara è l’insinuazione contenuta nella sua affermazione: ossia che se a succedergli dovesse essere una donna, quest’ultima sarebbe solo una figura di rappresentanza, e le figure di rappresentanza devono essere attraenti e piacevoli, essendo prive della profondità e dell’autenticità legate a cariche importanti.

Quello che colpisce del sessismo del dalai lama è che per milioni di persone è un simbolo opposto a tutto questo, un Davide contro Golia nella lotta che contrappone il Tibet – da tempo occupato – alla potente Cina.

Nel corso degli anni ha dispensato tonnellate di frasi motivanti che appaiono su siti e calendari, ha incontrato celebrità e capi di stato e ha espresso una leadership che ha travalicato i confini del buddismo tibetano. Alcuni lo trattano come un vecchio zio fastidioso che fa di continuo commenti inappropriati sulle donne di famiglia.

Ma il dalai lama non è un vecchio zio. In realtà nemmeno un vecchio zio è un vecchio zio. Tutti quelli che fanno commenti sessisti sono ben consapevoli di essere offensivi e derisori non solo nei confronti delle donne che stanno loro di fronte, ma di tutte le donne e le bambine che li ascoltano o li leggono.

La cultura del trovare giustificazioni al sessismo – giustificazioni che vanno dal dire che una determinata affermazione è stato un errore al sostenere che gli uomini non sanno fare di meglio, fino a incolpare le donne di essersi offese (quella più comune) – è pessima quanto le affermazioni sessiste. Non solo ammette l’idea che non è sempre sbagliato trattare le donne come begli oggetti, o insiste sul fatto che qualsiasi giudizio nei loro confronti dovrebbe basarsi sulla bellezza, ma garantisce agli uomini di poter continuare a decidere cosa è appropriato e cosa non lo è, che genere di affermazioni possono essere fatte o non fatte.

Molti uomini in Pakistan si comportano esattamente come il dalai lama. Prima fanno una dichiarazione e poi dicono che non erano consapevoli del suo impatto. Si rifiutano di capire che le parole e le affermazioni che concorrono a formare il discorso umano sono direttamente connesse al rispetto che riserviamo alle donne e altrettanto connesse ai reati commessi nei loro confronti.

In Pakistan, tuttavia, ci sono anche uomini che si chiedono cosa si possa fare per migliorare la deplorevole condizione delle donne nel paese, e ritengono che le donne non possano essere al sicuro a meno che non abbiano una protezione maschile. A questi uomini la storia del dalai lama dovrebbe insegnare qualcosa. Se gli uomini cominciassero a vigilare su se stessi e sugli altri uomini, a chiedere che le affermazioni sessiste e chi le fa siano svergognati, allora starebbero usando il loro privilegio maschile per migliorare la vita delle donne in questo paese.

L’unico risvolto positivo dell’affermazione sessista del dalai lama è che può diventare un messaggio per tutti gli uomini: un brav’uomo sessista non può essere definito un brav’uomo. Le parole contano, è sulle parole che si basa l’umiliazione. Una società che tratta le donne come oggetti, incapaci di offrire un contributo in termini intellettuali o sociali, è una società immorale, sessista e ingiusta. Perciò ecco una semplice ricetta per tutti gli uomini che vogliono “fare qualcosa”: fate attenzione alle cose che dite, alle parole che usate. Non è tutto, ma è un inizio importante, decisivo e urgentissimo.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è apparso sul quotidiano pachistano Dawn.

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