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Dahrendorf e Giddens, due riletture utili per l’Europa. E per l’Italia

di Guido Gentili

2' di lettura

Come deve cambiare l'Europa? A questa domanda, che resta più che mai attuale, non riescono a rispondere compiutamente (a parte i facili slogan contrapposti) né i nuovi sovranisti-nazionalisti né gli europeisti dogmatici. Dunque possono venire utili anche un paio di riletture. Ralf Dahrendorf, scomparso nel giugno di dieci anni fa, sociologo e politico tedesco, commissario europeo nei primi anni '70, dal 1988 cittadino britannico, dal 1993 Lord a vita nominato dalla regina Elisabetta. E Anthony Giddens, classe 1938, sociologo e politologo inglese, consigliere di Tony Blair e padre della cosiddetta “terza via” che nel 1997 succedette proprio a Dahrendorf alla guida della London School of Economics. Insomma, due grandi studiosi che hanno conosciuto la politica da vicino.

Dahrendorf si dichiarò “un europeo scettico a favore dell'Europa unita”, e così è sempre rimasto a dispetto di chi lo ha voluto ingabbiare nel ruolo di de-costruttore dell'Europa, quasi fosse un padre fondatore del novello sovranismo. Sì, fu un critico scomodo: nel 1971, quando era Commissario europeo per la Ricerca (in questo caso vero padre dell'attuale Consiglio per la ricerca e la formazione) scrisse un paio di articoli sotto pseudonimo in cui puntò il dito contro gli euro-burocrati e il cattivo funzionamento delle istituzioni europee. Nel 1974 lasciò Bruxelles e la politica. Nel 1992, ricordando tra l'altro Aliero Spinelli, scrisse che “L'Europa non può essere che uno spazio comune di diverse appartenenze etniche, religiose e culturali: voltare le spalle all'idea di questo spazio comunque significa inevitabilmente l'intolleranza all'interno e l'ostilità all'esterno…abbiamo bisogno dell'Europa, ma di un'Europa della quale poter essere fieri…altrimenti diverrà prima una questione infelice e fonte di divisioni, poi darà origine a nuovi conflitti sempre più intricati e infine perderà ogni rilevanza per essere soppiantata da altre forze assai meno auspicabili”.

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Nel 1997 pubblicò il libro “Perché l'Europa? Riflessioni di un europeista scettico”. Preoccupato anche per l'allargamento e il dilagante euro-fanatismo conformista, Dahrendorf mise sul banco degli imputati il processo di integrazione e la distanza tra la burocrazia e l'opinione dei cittadini europei, in questo ammonendo sui rischi del montante deficit democratico e rilanciando l'europeismo pragmatico dei fatti concreti sui temi ad esempio, della disoccupazione e della competitività.
Vedeva lungo, Dahrendorf. E lo stesso può dirsi di Anthony Giddens, laburista critico del neo-liberismo e della vetero-socialdemocrazia. Nel 1999, vent'anni fa, criticava l'idea del “Superstato” europeo o di uno Stato federale classico e sosteneva che andava “riscoperto il concetto di nazione, perché ripensare l'identità di nazione di fronte alle spinte della globalizzazione diventa necessario”. Di più: “la nazione viene ad assumere la funzione di compensare le spinte centrifughe assorbendo traumi e divisioni. Una forza stabilizzatrice così consapevole di sé da poter rinunciare a parte della sua sovranità e da poter accettare fenomeni di multiculturalismo”.

Dahrendorf e Giddens, due riletture utili per l'Europa (e per l'Italia, dove si discute solo a colpi di slogan).

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