6 luglio 2019 - 12:02

O. J. Simpson, i delitti e la nuova vita Adesso si diverte come star di Twitter

Ecco cosa fa oggi l’ex fuoriclasse del football americano, attore di Hollywood (e padrino di Kim Kardashian), 25 anni dopo l’omicidio dell’ex moglie, Nicole Brown, e del giovane Ron Goldman. Assolto per il duplice delitto, e poi condannato per rapina, nel 2017 ha ottenuto la libertà vigilata ma è rimasto lontano dai riflettori. Fino a poche settimane fa

di Paolo Beltramin

O. J. Simpson sorride nella sua villetta di Las Vegas (Foto Didier J. Fabien via AP) O. J. Simpson sorride nella sua villetta di Las Vegas (Foto Didier J. Fabien via AP)
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Proprio come cinquant’anni fa, quando divenne la prima star afroamericana a fare la campagna pubblicitaria di un prodotto di lusso, la Chevrolet Caprice, adesso guarda dritto davanti alla telecamera. Ma stavolta non c’è nessun set. Orenthal James Simpson, 72 anni il 9 luglio, è nel giardino di casa, una villetta avuta in prestito da un amico alla periferia di Las Vegas. E davanti ha soltanto il suo smartphone: «Sono qui per darvi la mia opinione più o meno su tutto. Lo sport in primo luogo, ma anche la politica». Prima dà consigli su come muoversi al «fantasy football» – l’equivalente del nostro fantacalcio –, poi smentisce seccato le voci sulla sua presunta paternità di una delle Kardashian, Khloe. Ma soprattutto, tiene a condividere il consiglio più importante che gli ha dato sua madre: «Non lasciare che la gente e le meschinità ti allontanino da Dio».

I conti da regolare

Eccolo, mister Simpson oggi. L’ex fuoriclasse del football americano diventato attore di Hollywood, l’imputato che al processo del secolo è stato assolto per un duplice omicidio che tutto il mondo è convinto abbia commesso, ha deciso di tornare alla ribalta. E nel 2019, per riuscirci, non poteva che scegliere Twitter. Il suo profilo, @TheRealOJ32, ha raccolto oltre 700 mila follower in una settimana, il suo primo video è stato visualizzato da 12 milioni di spettatori, i primi «fake» sono comparsi nel giro di qualche secondo. «L’ho uccisa io», twitta uno di questi, e il social esplode. Forse Simpson, il nero bianco che faceva impazzire l’America, ha finalmente deciso di confessare?
Il vero O. J. non ha alcuna intenzione di pentirsi, anzi, la sua avventura online è solo l’ultima beffa di un signore che ha già avuto la faccia tosta di firmare un libro dal titolo «If I did it» («Se l’avessi fatto io»), in cui racconta ogni particolare del duplice delitto, solo che vissuto in un sogno. Adesso si diverte a «trollare» colpevolisti e antipatizzanti: come spiega in uno dei video su Twitter, sente che è arrivato il momento di «regolare un po’ di conti»: «Per troppo tempo la gente ha potuto dire quello che voleva su di me, senza doverne rispondere».

Le macchie di sangue e la prova del Dna

È appena passata la mezzanotte del 13 giugno 1994 in una via tranquilla di Brentwood, il distretto più ricco di Los Angeles, a un paio di chilometri dalla villa dove era stato trovato il cadavere di Marylin Monroe. Un cane abbaia e tira il guinzaglio del suo padrone: dal cancello di un palazzo si intravedono tracce di sangue. All’interno, la polizia trova i corpi di Nicole Brown Simpson, 35 anni, e di Ron Goldman, 25, cameriere che era passato di là per consegnarle gli occhiali da sole dimenticati al ristorante. Sono stati uccisi a pugnalate, con una rabbia da bestia feroce.
O. J. in quel momento sta prendendo un aereo per Chicago. Quando, appena arrivato in albergo, riceve la telefonata di un’agente che gli comunica che la sua ex moglie è stata uccisa, lui si mette a piangere disperato. Dopo qualche secondo riattacca, senza nemmeno aver chiesto: «Come è successo?». Solo quando verrà interrogato, qualche ora più tardi, gli inquirenti scopriranno che ha una ferita da taglio alla mano. E troveranno, dimenticate negli archivi, le diverse denunce per violenza domestica che Nicole aveva presentato nel corso degli anni.
Sono solo dettagli, rispetto al resto. Perché sul luogo del delitto vengono trovate tracce di sangue di Simpson, mentre tracce di sangue delle due vittime vengono trovate a casa di Simpson. Il dna di tutti e tre viene isolato in un’altra macchia, nella portiera dell’auto dello stesso Simpson. Una testimone racconta di averlo visto sfrecciare a tutta velocità senza fermarsi a uno stop, poco dopo l’ora dell’omicidio. Oltre il cancello della villa di O. J. un detective trova pure un guanto impregnato del sangue di Nicole; un’impronta di scarpa compatibile con le Bruno Magli del suo ex marito, invece, viene fotografata nel vialetto davanti a casa di lei.

O. J. Simpson, Shapiro, Kardashian ieri e oggi: che fine hanno fatto i protagonisti del caso
Prima dell’omicidio

«Cento per cento non colpevole»

Quando il 17 giugno due agenti di polizia suonano il campanello per arrestarlo, avviene la scena forse più sbalorditiva di questa tragedia travestita da farsa: Simpson esce dalla porta sul retro, monta sulla sua Ford Bronco bianca e scappa. Con sé ha una pistola, il passaporto e 8.700 dollari in contanti. La sua fuga di 9 ore attraverso le tentacolari highways di Los Angeles, inseguito da una ventina di volanti e otto elicotteri, viene trasmessa in diretta da tutti i network al posto della finale Nba. Scelta vincente: 95 milioni di spettatori rimangono incollati davanti alla tv, cinque volte più di quanti seguiranno l’episodio finale del «Trono di Spade».
Ma lo spettacolo è appena cominciato. Quando si alza il sipario del processo e il giudice gli fa la domanda di rito: l’imputato si dichiara colpevole o innocente?, lui lo guarda deciso e risponde a ritmo di rap: «Assolutamente, cento per cento, non colpevole». E la giuria, composta in maggioranza da afroamericani, gli darà ragione.

Un regolamento di conti

La verità è che anche 25 anni dopo il duplice omicidio, tutta questa storia sembra ancora un romanzo scritto male, che nessun lettore potrebbe considerare verosimile. Almeno senza ricordarne un’altra, di storia, cominciata pochi anni prima, la notte del 3 marzo 1991, quando un passante aveva filmato per caso il sanguinoso pestaggio del tassista nero, Rodney King, da parte di un gruppo di agenti della polizia di Los Angeles. La vittima era stata fermata per un banale eccesso di velocità. Gli aggressori, dopo un processo farsa, erano finiti tutti assolti. Ma il verdetto aveva scatenato una rivolta lunga settimane che aveva provocato 63 morti, oltre duemila feriti e 12 mila arresti. Anche se il miliardario Simpson viveva giocando a golf con i suoi amici bianchi di Brentwood, non avrebbe mai messo piede nel ghetto e amava dire: «Io non sono nero, io sono O. J.», la sua assoluzione fu un modo per «pareggiare i conti», in una città devastata da decenni di odio razziale.

Una gita a Las Vegas

Due anni dopo, un altro colpo di scena. Simpson viene condannato in sede civile a versare 33,5 milioni di dollari di danni alle famiglie delle vittime: è l’occasione per riparare almeno in piccola parte l’ingiustizia. Rimasto senza soldi dopo aver già pagato decine di milioni ai suoi avvocati, O. J. viene sfrattato dalla sua magione e tutte le sue proprietà finiscono all’asta. Compresi i trofei sportivi, ai quali è legato in modo ossessivo.
Passano altri dieci anni, il «non colpevole» O. J. si trova a Las Vegas per un matrimonio. Viene a sapere che in zona ci sono due commercianti che sostengono di avere alcuni dei suoi memorabilia: maglie autografate, coppe placcate e pure una foto autografata in cui è insieme al mitologico capo dell’Fbi J. Edgar Hoover. Subito gli scatta in testa un desiderio incontrollabile. Due giorni dopo viene arrestato per rapina a mano armata e tentato sequestro di persona. In tribunale dirà di aver voluto riprendersi quello che già gli apparteneva, invece è la giustizia a prendersi un’altra rivincita: viene spedito in un carcere del Nevada con una condanna in primo grado a 33 anni.

I selfie sulla Strip

Dopo nove, nell’ottobre del 2017, esce in libertà vigilata. Da allora ha tenuto un profilo molto basso, almeno fino al debutto su Twitter. Giura che non parlerà mai più del passato: «Ci concentriamo sulle cose positive». I familiari delle vittime, però, sono devastati: «È incredibile, vive questa vita pomposa, a Las Vegas è venerato», si sfoga la sorella di Ronald, Kim Goldman, in una recente intervista alla Abc. E in effetti, nell’ennesima distorsione della società dello spettacolo, Simpson oggi non può fare due passi sulla Strip, tra gli alberghi e i casinò, senza essere fermato dai turisti che vogliono un selfie con lui.

Come è andato a finire il «dream team»

Anche gli altri protagonisti del processo, in questi 25 anni, hanno avuto vite che meritano di essere raccontate. Robert Shapiro, già difensore di Linda Lovelace e del figlio di Marlon Brando, e capo del «dream team», il pool di avvocati più costoso della storia d’America, con l’assoluzione di O. J. Simpson ha toccato la vetta della sua carriera. A 76 anni, è ancora considerato tra i più brillanti penalisti di Los Angeles: tra i suoi clienti ci sono Eva Longoria e Lindsey Lohan. Dal 2005 è molto impegnato anche nella fondazione che ha creato per aiutare gli adolescenti a uscire dalla tossicodipendenza, dedicata a suo figlio Brent, morto di overdose.
F. Lee Bailey, l’altra star del dream team, e già difensore di Patty Hearst, uno che volava su jet privati e aveva recitato la parte di se stesso in un film, nel 2003 è stato radiato dall’albo degli avvocati per condotta contraria ai principi della professione. Oggi ha 86 anni, e dopo aver fatto bancarotta vive con una parrucchiera in un monolocale nel paesino di Yarmouth, in Maine, e lavora come «consulente d’affari» sopra il negozio di lei.

Perdenti di successo

Marcia Clark, capo dell’accusa, responsabile di una serie di errori a dir poco sconcertanti, dalla scelta della giuria al rapporto schizofrenico con i media, dopo l’assoluzione di O. J. si è dimessa dalla magistratura. Per il suo libro di memorie «Without a doubt», «Senza alcun dubbio» (sic), è stata pagata 4,2 milioni di dollari. Oggi è una affermata scrittrice di gialli; nella serie che potete guardare su Netflix, «The People vs O. J. Simpson», viene ritratta come una specie di eroina senza macchia, vittima dello stress e della cattiva sorte.
Ma il primo responsabile del fallimento dell’inchiesta resta Mark Furhnam, il detective che raccolse le prove sul luogo del delitto e che si scoprì poi essere un razzista convinto, oltre che collezionista di cimeli del Terzo Reich. Per aver mentito in aula ha patteggiato tre anni ed è stato cacciato dalla polizia. Anche lui ha scritto un best seller sul caso ed è diventato un ospite fisso di Fox News, il network conservatore che sostiene Donald Trump.
Robert Kardashian, il migliore amico di Simpson che gli è rimasto accanto ogni giorno per tutto il processo, è morto nel 2003, a 59 anni, per un cancro all’esofago. Non ha fatto in tempo a vedere la sua ex moglie Kris e i loro quattro figli, Kourtney, Kim, Khloe e Rob, conquistare un successo internazionale grazie al reality show «Al passo con i Kardashian», che va in onda ininterrottamente da sedici anni. Oggi su Twitter Kim Kardashian ha 61 milioni di follower, proprio quanti il presidente degli Stati Uniti. O. J. è il suo padrino di battesimo.

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