6 luglio 2019 - 10:23

Il «Dopo di noi»? Non decolla
l’indipendenza dei disabili

La legge è ferma la palo. Anffas: «Manca un sistema efficace di infrastrutturazione sociale». Nel 60% delle regioni i progetti non sono mai partiti o sono stati avviati male

di Jacopo Storni

Il «Dopo di noi»? Non decolla l'indipendenza dei disabili
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Quando le persone con disabilità perdono i genitori, si ritrovano sole, spesso senza più nessuno che si prenda cura di loro. Per questo, in Italia come in molti altri Paesi europei, è nata l’esigenza di dotarci di una legge per aiutare i disabili ad affrontare la vita di fronte al progressivo invecchiamento dei propri cari, sostenendo le famiglie a progettare e realizzare il distacco dai figli quando i genitori sono ancora in vita, attraverso progetti di co-housing assistita con altri disabili e supporto alla domiciliarità per prevenire l’istituzionalizzazione in strutture residenziali. Nel 2016, il Governo Renzi ha realizzato la legge 112 sul «durante e Dopo di noi», concepita proprio per questi obiettivi. La legge favorisce e promuove i principi contenuti nell’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti dei disabili, che sancisce «il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone».

Gli stanziamenti

Le risorse stanziate ammontavano a 90 milioni di euro nel 2016, 38,3 milioni di euro nel 2017 e 56,1 milioni per il 2018. La legge di bilancio 2018 ha poi definanziato il Fondo di 5 milioni per ciascun anno del biennio 2018-2019, portandone nei due anni la dotazione a 51,1 milioni di euro. Ma dopo numerose polemiche, le risorse sono state riportate a 56,1 milioni grazie alla legge di bilancio 2019. Come vengono ripartite le risorse? La quota di finanziamento per ogni Regione è calcolata in base al numero della popolazione regionale con grave disabilita, nella fascia di età 18-64 anni. La Lombardia è la prima regione con oltre 8 milioni di euro, seguono Campania con 5 milioni circa e Sicilia con poco più di 4 milioni. Eppure, nonostante gli ingenti stanziamenti dallo Stato, in molte regioni il progetto è fermo al palo.

«Rischiamo un grande spreco di soldi - ha detto Roberto Speziale, presidente di Anffas - I soldi ci sono, ma molte regioni non riescono ad erogarli e il carico della disabilità continua ad essere scaricato sulle famiglie. La maggior parte delle iniziative sono spesso realizzate con il contributo delle stesse famiglie e da parte di alcune fondazioni bancarie particolarmente sensibili al tema. Non si riesce a dare attuazione alla legge perché manca un sistema efficace di infrastrutturazione sociale, non funzionano i distretti, non c’è capacità di avviare le misure previste dalla legge anche per la mancanza di prossimità in molti territori». E soprattutto, ha aggiunto Speziale, «per ottenere le risorse del 2019, le regioni devono dimostrare di aver già utilizzato al meglio le annualità del 2016, ma soltanto il 40 per cento delle regioni ha dato un’attuazione concreta dei progetti di vita indipendente necessari per dare attuazione a questa legge».

Tradotto, significa che nel 60 cento delle regioni i progetti sul dopo di non sono mai partiti o sono partiti in malo modo. Sono poche le regioni in cui i previsti progetti risultano almeno abbozzati. Caso virtuoso è la Lombardia, dove sono 614 le persone con disabilità già prese in carico grazie ai contributi della Legge 112. E dove sono stati progettati ex novo o consolidati almeno 50 tra gruppi appartamento, co-abitazioni e percorsi di convivenza. Bene anche l’Emilia Romagna con 1.242 persone prese in carico e il Lazio dove, al momento, sembrerebbero essere 640 le persone che hanno richiesto di avviare un progetto. Bene anche la Toscana, dove sono state prese in carico 507 persone con disabilità, di cui oltre cento sono già andate a vivere da sole in co-housing insieme ad altri disabili e assistenti sociali.

Dati ufficiali su scala nazionale però non esistono, anche perché non è ancora stata presentata al parlamento, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, la seconda relazione sullo stato di attuazione della legge. Tra le criticità emerse nell’attuazione, il fatto che molte persone, a differenza di quanto previsto originariamente, sono molto giovani e hanno ancora i genitori in buona salute. A sottolinearlo è Giovanni Merlo, direttore della Lega persone con disabilità in Lombardia. «È un’ottima legge ma si corre il rischio che vada verso altre parti, seppur altrettanto importanti, ad esempio verso persone che non hanno una disabilità grave e che non sono adulti bensì molto giovani e che quindi non hanno urgente bisogno».

Una nuova strada

Complessivamente tuttavia, anche se può apparire paradossale, l’utilizzo a rilento delle risorse non è soltanto un segnale di difficoltà. Come sottolinea con più ottimismo Marco Bollani, tecnico fiduciario Anffas e cooperatore sociale di Federsolidarietà Lombardia, «il bicchiere possiamo vederlo quasi mezzo pieno perché la legge di fatto ha aperto una strada nuova ed oggi il sistema era ed è ancora organizzato per orientare e prendere in carico le persone solo all’interno dei servizi. In percorsi di questo tipo la lentezza non è una iattura perché per lavorare bene nella costruzione di percorsi di vita non possiamo essere costretti a correre per riuscire a spendere i soldi in tempo utile».

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