3 luglio 2019 - 21:14

«Ho trovato Palamara sotto casa»: in una lettera la difesa di Fuzio

Il magistrato ai colleghi: non ho rivelato segreti. Diserta il Csm e chiede udienza a Mattarella

di Giovanni Bianconi

«Ho trovato Palamara sotto casa»: in una lettera la difesa di Fuzio
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«Non ho indicato né offerto al dottor Palamara alcuna notizia riservata, essendomi limitato a ribadirgli quello che già sapeva... La breve interlocuzione va inserita in un contesto colloquiale intrattenuto, sia pure con metodi improvvisi, da una persona che aveva con me un rapporto di risalente colleganza e comunanza di vedute in ambito associativo». Il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, alle prese con la «grana» di una conversazione intercettata con il pm romano Luca Palamaraindagato per corruzione, illustra la propria autodifesa ai magistrati del suo ufficio. Due pagine e mezza inviate ieri mattina, per spiegare che in quell’incontro, da lui non cercato bensì subìto, non è accaduto nulla di grave.

È una risposta decisa all’Associazione magistrati, che invece l’ha definito «sconcertante», invitando il pg a dimettersi. Ma dalla lettera, che ha lasciato perplessi molti dei destinatari, non traspare questa intenzione. E i contenuti sono presumibilmente quelli che l’alto magistrato intende esporre nell’udienza chiesta al capo dello Stato Sergio Mattarella, presidente del Consiglio superiore della magistratura di cui Fuzio è membro di diritto. Nell’attesa ieri non s’è presentato al plenumdel Csm ma è andato dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che in teoria potrebbe promuovere nei suoi confronti l’azione disciplinare.

Entrambi l’hanno avviata contro Palamara, il pg ha chiesto anche al Csm di sospenderlo subito da funzioni e stipendio, e ora spiega di avere subito avvisato i colleghi delegati al procedimento sia della sua antica amicizia con il magistrato (fanno parte della stessa corrente) che dei precedenti discorsi con lui sui viaggi pagati dall’imprenditore Fabrizio Centofanti, divenuti la base dell’accusa di corruzione mossa dalla Procura di Perugia. Poi racconta che la sera del 21 maggio scorso Palamara, dopo avere già saputo di essere indagato, «con modalità “a sorpresa” mi imponeva la sua presenza dinanzi alla mia abitazione, senza che nessun incontro o colloquio fosse stato mai programmato o concordato in procedenza».

Una sorta di agguato, quindi. Da cui scaturì il dialogo ormai noto: dettagli sull’indagine perugina e sulle votazioni in corso al Csm per il futuro procuratore di Roma. Con le «lamentele del dottor Palamara che sono il sottofondo dell’intera conversazione, quasi del tutto dominata dagli sfoghi del magistrato», ricorda Fuzio. Il quale sostiene di avere semplicemente «ribadito in via reticente, ma solo per garbo caratteriale», ciò che il collega già sapeva. Con l’intento, sostiene, «di razionalizzare il suo stato di “agitazione”». Un tentativo di calmarlo, insomma.

A parte i particolari sull’inchiesta, ciò che appare imbarazzante nell’intercettazione dove le parole di Fuzio sono molto spesso incomprensibili è pure il confronto sulla scelta del nuovo procuratore di Roma (Palamara era impegnato a raccogliere voti in favore di Marcello Viola), nel quale il pg valuta schieramenti e voti. Ma l’alto magistrato nega interferenze e scorrettezze, sottolineando che in mattinata lui aveva suggerito di fare le audizioni dei candidati, richieste dal Quirinale e successivamente bocciate dalla commissione: «Un intervento, il mio, evidentemente non gradito da chi aveva deciso di stringere i tempi, e sul quale Palamara voleva parlare, trovando la strada sbarrata da quanto era già accaduto la mattina». La conclusione è che «siffatta conversazione, all’evidenza, non può essere accomunata alla riunione svoltasi il 9 maggio», cioè quella con i deputati del Pd Cosimo Ferri e Luca Lotti e gli ex componenti del Csm che lo stesso Fuzio ha messo sotto inchiesta disciplinare.

Per il resto, Palamara sollecitava l’amico a intervenire presso il vicepresidente del Csm David Ermini: «Invito da me non raccolto». La minimizzazione di quanto accaduto ha spinto il pg a non evitare di promuovere personalmente il processo disciplinare contro il collega: «In astratto avrei potuto valutare l’ipotesi dell’astensione, ma ho sempre creduto che l’istituzione si serve facendo sempre il proprio dovere ed assumendosi le responsabilità che derivano dalle funzioni che si esercitano. Ho deciso di anteporre l’interesse dell’istituzione alla mia posizione personale, in silenzio e davanti alla mia coscienza. Il magistrato parla con i propri atti».

Proprio a tutela degli interessi istituzionali, separandoli da quelli personali, l’Anm ha chiesto le dimissioni di Fuzio. Che invece rivendica quanto ha fatto finora: «Sono convinto che sia stata la scelta migliore per la magistratura e per il Csm».

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