24 giugno 2019 - 09:48

Il mago dei muscoli italiano che ha trovato l’America in Africa

La scelta controcorrente di Paolo Ringhini, 38 anni, fisioterapista dei giocatori della Repubblica Democratica del Congo. «Più che un lavoro, un’avventura. E una lezione di vita»

di Carlos Passerini

Il mago dei muscoli italiano che ha trovato l'America in Africa Paolo Ringhini
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Emigrante al contrario. Da Brescia all’Africa. Per occuparsi dei muscoli dei giocatori della Repubblica Democratica del Congo impegnata in questi giorni in Coppa d’Africa, che si svolge in Egitto. Les Léopards, i Leopardi, li chiamano così. E’ la storia insolita di Paolo Ringhini, fisioterapista italiano che ha fatto una scelta controcorrente. Che è però prima di tutto «un’esperienza di vita». Non solo una scelta professionale. Di mezzo c’è anche la voglia di capire, di vedere, di conoscere. «L’Africa ti entra dentro con la sue gente, la sua spontaneità, la sua voglia di vivere, il suo sorriso costante nonostante le difficoltà» spiega Ringhini, 38 anni, un passato al Brescia Calcio. Che ormai ne è convinto: «Io in Africa ho trovato l’America».

«La mia avventura», la definisce così. Nata quasi per caso, quando Piero Serpelloni – un altro mago dei muscoli, suo maestro e uomo di fiducia fra gli altri di Shevchenko, Pirlo, Inzaghi – gli presenta M’Poku, allora al Chievo, nazionale congolese. «Parlo con lui, tratto i suoi muscoli e dopo un paio di giorni mi contatta: Paolo, voglio che mi segui come fisioterapista personale. Non ci ho pensato un attimo perché era un’esperienza troppo importante per non prenderla al volo. Dovevo lavorare solo con M’Poku ma poi molti giocatori si sono avvicinati a me chiedendo di dare una mano alla squadra. Ho accettato. Alla fine hanno fatto una sorta di colletta e mi hanno praticamente ingaggiato per la Coppa».

Comincia così la sua seconda vita lavorativa: dall’iperprofessionismo europeo a un’Africa dove la fisioterapia è ancora all’anno zero o quasi. «Mi sono accorto che quaggiù è ancora abbastanza sconosciuta: ai miei colleghi in Nazionale sto facendo qualche lezione la sera con alcuni testi che mi sono portato dall’Italia. Anche questo però è il bello della mia spedizione». Dare e avere. Perché l’esperienza è anche una lezione di vita. «Come la mia prima partita: ero l’unico bianco in mezzo a 90mila neri. Sto imparando molto più di quello che pensavo. L’importanza delle piccole cose, dei piccoli gesti, del sentirsi dire grazie quando non sarebbe necessario, tutte che in Europa abbiamo scordato. Sono io che devo dire grazie». Anche in Africa si può trovare l’America.

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