16 giugno 2019 - 08:41

Attentato Nizza, Tahar Mejri perse moglie e figlio: «E’ morto di dolore»

Tre anni dopo la strage il 42enne si è spento, abbandonandosi alla sofferenza.
Il presidente del Mémorial: «Se non fosse stato musulmano, si sarebbe suicidato»

di Giuseppe Gaetano

Attentato Nizza, Tahar Mejri perse moglie e figlio: «E' morto di dolore»
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Spegnersi lentamente, per la sofferenza e la depressione. Lasciarsi andare, per raggiungere forse nella testa il figlioletto di 4 anni e la ex moglie, persi quasi tre anni fa nel massacro di Nizza, quando un autocarro guidato da un jihadista investì volontariamente la folla che seguiva i fuochi d’artificio sulla Promenade des Anglais, uccidendo 86 persone. Tahar Mejri non ce l’ha più fatta a sopportare il vuoto che si era spalancato all’improvviso nella sua esistenza, a reggere il dolore. Di questo sarebbe morto, secondo quanto sostiene l’Associazione dei familiari delle vittime che lo conosceva bene.

«Non aveva alcun istinto suicida - afferma il presidente del Mémorial des Anges, Seloua Mensi - ma si è lasciato morire, talmente era triste e svuotato». Nè risulta avesse malattie. L’uomo, 42 anni, da quel maledetto 14 luglio 2016 non era stato più lo stesso. Dopo aver visto morire l’ex consorte Olfa travolta dal camion, vagò 48 ore per le strade della città alla disperata ricerca del suo bambino, Kylan. Soltanto due giorni dopo, davanti a un ospedale, gli fu comunicato il decesso del piccolo. Il suo strazio commosse i media francesi. Da allora Taher ha iniziato a dormire su quel lungomare, e ad andare in giro indossando ovunque una tshirt con la foto del figlio scomparso, mostrando le sue foto alle commemorazioni. Ora sarà sepolto al suo fianco, in Tunisia. Un’ossessione, comprensibile, ma che alla lunga si è rivelata letale per i suoi nervi, e il suo cuore. «Non riusciva a raggiungere uno stato di resilienza, i medicinali non servivano più» dice Anne Muris, che nell’attentato jihadista perse la figlia.

«E’ stata aperta un’inchiesta per verificare le cause della morte - spiega Mensi -, ma per la famiglia è morto di dolore: se non fosse stato musulmano, si sarebbe suicidato». Ma forse, per una volta, la religione non c’entra. Il dolore che consuma, e pian piano annienta, colpisce purtroppo oltre la fede, che anzi dovrebbe fornire conforto. E’ davvero sottile la linea che divide l’uccidersi dallo smettere di vivere. Di come sia fisiologicamente possibile annientare le proprie funzioni vitali si è parlato recentemente con il controverso caso di Noa, l’adolescente norvegese violentata che ha smesso di alimentarsi dopo anni di agonia psicologica. In attesa dei risultati delle indagini, anche la vicenda di Taher sta facendo discutere in questi giorni, per gli stessi oscuri contorni dell’epilogo. «Ho fatto di tutto per farlo star meglio, ma è stato inutile» confessa la nuova compagna Rachel a Nice Matin, raccontando di un sogno che Taher le aveva confidato solo una settimana fa: «Mi ha detto che Kylian piangeva perché non c’era il papà e lei non ce la faceva più, e che doveva andare da loro».

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