Chelsea Manning, l’ex analista transessuale dei servizi militari che ha passato a Wikileaks i file segreti sugli abusi Usa in Iraq e ha scontato 7 anni di carcere prima di essere graziata dall’ex presidente Barack Obama, ha chiesto di essere rilasciata ma non intende collaborare sul caso della società fondata da Julian Assange.

«Nulla mi convincerà a testimoniare», si legge nei documenti depositati in tribunale. Era stata arrestata nuovamente lo scorso 8 marzo, dopo il gran rifiuto a testimoniare davanti al gran giurì dell’Eastern District della Virginia sul caso Wikileaks su cui sta indagando la procura.

I suoi avvocati hanno denunciato come la sua detenzione sia punitiva. «Lei è convinta che testimoniare significherebbe tradire le cose in cui crede», spiegano gli avvocati nei documenti depositati in tribunale. «È pronta a pagare le conseguenze per le cose in cui crede e non dovrebbe sorprendere nessuno - proseguono - il fatto che abbia il coraggio di portare avanti le sue convinzioni».

L’arresto della Manning è scattato ad un anno dal rinvio a giudizio di Julian Assange da parte di un gran giurì dello stesso distretto per hackeraggio e cospirazione in merito alle azioni intraprese nel 2010. La Manning non è indagata in questo caso ma è stata accusata di oltraggio alla Corte per il suo rifiuto di testimoniare. Il giudice ha minacciato di lasciarla dietro le sbarre finché non acconsentirà a testimoniare o fino a quando la procura non avrà concluso le indagini. Gli Usa hanno chiesto l’estradizione di Assange che è stato preso in consegna delle autorità britanniche nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove si era rifugiato dal 2012. La Manning ha messo sotto gli occhi del mondo le uccisioni di civili, le torture, gli stupri avvenuti dal 2004 al 2009 in Iraq diffondendone nel 2010 tutti i retroscena.

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