BENGASI - Il messaggio è chiaro: la guerra continuerà e finirà solo quando i soldati di Khalifa Haftar avranno sconfitto le milizie che stanno con il governo di Fayez Sarraj a Tripoli. «Quando la nostra capitale sarà liberata dalle milizie e dai terroristi, allora, e solo allora potremo avviare il dialogo politico», dice netto il 45enne Abdulhadi Ibrahim Iahweej, che 40 giorni fa è stato nominato responsabile degli affari esteri dalla coalizione di forze che sta con Khalifa Haftar.
«Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale del Governo ad Interim Libico», recita la sua carta da visita. Le sue parole echeggiano quelle delle tre interviste che abbiamo avuto con lo stesso Haftar negli ultimi tre anni:«Questo non è il momento della politica o della democrazia in Libia, occorrono le armi per sconfiggere i terroristi e noi siamo pronti ad andare sino in fondo».
Ci riceve nel suo ufficio a Bengasi mentre gli uomini di Haftar ribadiscono che per le feste di Ramadan l’offensiva non si fermerà, come era stato ipotizzato a Tripoli, ma anzi continuerà più dura che mai. «Il mese santo musulmano è una benedizione che motiva i soldati al fronte in lotta per le cause giuste», ci specifica lo stesso generale Achmed Mismari, portavoce delle forze militari. Ministro Iahweej il negoziato pacifico si fa appunto con i nemici per evitare la guerra.
Non c’è modo di riaprire il dialogo tra Haftar e Sarraj, come chiedono l’Italia e larga parte della comunità internazionale? «Certo, noi siamo assolutamente favorevoli alla via della politica. Ma con chi? E in che modo si può dialogare con i terroristi e gli estremisti nelle milizie che stanno a Tripoli e Misurata? Una volta eliminate queste saremo noi i primi a lavorare per la pace».
Dunque la guerra continua? «E’ una guerra solo temporanea. Quando sarà finita la Libia potrà diventare finalmente libera e democratica. Ma per arrivare alla democrazia occorre prima restaurare la supremazia della legge, della sovranità del potere centrale, imporre il monopolio della forza, che significa smantellare le milizie. Il mondo deve capire che nessuno di noi intende eliminare Sarraj, ma lui è un debole, ha le mani legate, non può nulla contro gli estremisti».
L’inviato dell’Onu, Ghassan Salamé, era arrivato ad un passo dal mettere in atto il suo progetto di Conferenza Nazionale per la preparazione delle elezioni. Voi eravate parte del processo diplomatico. Ma all’improvviso Haftar ha cambiato le carte in tavola e lanciato l’offensiva militare. Perché? «Le scelte di Salamé e il suo modo d’agire si sono rivelati fallimentari, minati da ambiguità ed errori clamorosi. Ci siamo accorti che non riusciva affatto a risolvere i nostri problemi interni, anzi li stava aggravando. Diceva di avere scelto 150 rappresentanti della società civile libica per la sua Conferenza. Ma con che criteri, chi erano, che poteri avevano? Non ci ha mai chiarito, la sua segretezza è diventata pericolosa, dannosa. Mentre lui complicava la situazione, le milizie e gli estremisti hanno continuato a minacciare, uccidere, rubare, sequestrare e fare sparire gli oppositori nella totale impunità. Tripoli è diventata il regno dell’arbitrarietà violenta».
Il vostro governo continua a criticare l’Italia, chiede la rimozione dell’ospedale militare italiano di Misurata. Che messaggio avete mentre Sarraj va a Roma e in Europa per chiedere aiuto? «Attenzione! Non dovete allearvi con il diavolo. L’Italia sta dalla parte sbagliata. Le milizie sono le stesse che proteggono e facilitano la tratta dei migranti verso le vostre coste. Tra loro si annidano estremisti islamici pronti a colpirvi. E Sarraj non ha alcuna autorità per controllarle. Solo il nostro esercito è in grado di pattugliare davvero i nostri confini e battere i trafficanti. Quanto all’ospedale, abbiamo le prove che oggi sta curando i feriti delle milizie che si battono contro il nostro esercito. Perché non avete aperto un ospedale italiano che curi i nostri soldati feriti, per esempio a Tarhouna o Bengasi?».
Scusi, però da tempo l’Italia ha offerto assistenza medica anche in Cirenaica, ma Haftar la rifiuta. Come lo spiega? «Il nostro governo sarebbe ben felice di accogliere un ospedale militare italiano per curare i feriti del nostro esercito che si batte contro le milizie di Tripoli. Noi diamo il benvenuto alla massima cooperazione con l’Italia. Speriamo si rimetta anche al più presto in funzione il vostro consolato di Bengasi. Sarebbe un fatto molto importante».