Qualche giorno fa il New York Times ha pubblicato un articolo su Apple e su come l’azienda stava rimuovendo dall’App Store le applicazioni di controllo genitoriale. La tesi era che Apple stesse agendo in questo modo per limitare la concorrenza per guidare gli utenti alla loro soluzione Screen Time, in italiano “Tempo di utilizzo”. L’articolo propone anche una teoria secondo la quale la natura molto più permissiva di Screen Time non coadiuva nel complesso una minore interazione con i dispositivi, che non sarebbe ciò che Apple vuole realmente.

Screen Time non è monetizzato da Apple, il che rende difficile parlare di mossa anticoncorrenziale. Al contrario Apple guadagna una percentuale dalle app di terze parti presenti sullo Store, comprese quelle che ha da poco rimosso.

Anche l’argomento secondo cui Apple non vuole che gli utenti trascorrano meno tempo con il loro dispositivo è sbagliata. Per Apple - ma anche per l’utente - ciò che importa non è il tempo che si passa con il dispositivo, ma il livello di coinvolgimento che si ha con il dispositivo. Qualcuno che passa due ore a guardare un film comprato dall’applicazione TV porta più valore ad Apple di qualcuno che passa otto ore a chattare su Facebook Messenger.

Il chiarimento di Apple
Dopo che l’articolo è stato pubblicato, Apple ha chiaritocon una dichiarazione che il motivo per cui alcune applicazioni di controllo genitoriale sono state eliminate nell’App Store era legato all’uso di Mobile Device Management (MDM).

Per chi non lavora in un ambiente corporate, MDM è una soluzione ampiamente utilizzata dai dipartimenti IT per controllare e gestire i dispositivi dei dipendenti. Il livello di accesso che questi strumenti danno a un dipartimento IT è profondo e ampio, ma riguarda le risorse aziendali, non gli utenti. MDM offre a terzi il controllo e l’accesso a un dispositivo e alle sue informazioni più sensibili, tra cui la posizione dell’utente, l’uso delle applicazioni, gli account e-mail, i permessi delle telecamere e la cronologia della navigazione.

A causa di questo livello di accesso, a metà del 2017 Apple ha iniziato a studiare l’uso di MDM nelle applicazioni destinate ai consumatori e ha aggiornato le sue linee guida. Ecco cosa ha detto Apple:

“MDM ha usi legittimi. Le aziende a volte installano MDM sui dispositivi aziendali per mantenere un migliore controllo sui dati e sull’hardware proprietario. Ma è incredibilmente rischioso - e una chiara violazione delle politiche di App Store - per un’azienda privata, focalizzata sul consumatore, installare il controllo MDM sui dispositivi di un cliente. Al di là del controllo che l’app stessa può esercitare sul dispositivo dell’utente, la ricerca ha dimostrato che i profili MDM potrebbero essere utilizzati dagli hacker per ottenere l’accesso per scopi dannosi. I genitori non dovrebbero essere costretti a barattare le loro paure sull’uso del dispositivo da parte dei propri figli con i rischi per la privacy e la sicurezza, e l’App Store non dovrebbe essere una piattaforma funzionale a forzare questa scelta. Nessuno, [tranne il genitore], dovrebbe avere accesso illimitato ai dispositivi dei propri figli”.

L’esperienza genitoriale è sempre personale
Come genitore, quest’ultima frase è la chiave di lettura dell’argomento. Nessuno, tranne me e il padre di mia figlia, dovrebbe avere un tale livello di accesso ai dati della mia bambina attraverso il suo dispositivo. Con MDM l’accesso si estende anche allo sviluppatore. È una situazione ben diversa dal manager IT di un’azienda formato, controllato e tenuto sotto osservazione da un’organizzazione il cui interesse è quello di avere accesso ai beni e ai dati aziendali, non ai dati personali dei dipendenti.

Voglio essere chiara: come genitore non mi arrogo il diritto di giudicare altri genitori che usano queste app. Da genitore so che siamo tutti diversi come lo sono i nostri figli e le situazioni. Il punto è che mi preoccupo di come queste applicazioni potrebbero essere utilizzate in modo diretto o indiretto senza che i genitori ne siano a conoscenza.

Ci sono casi limite che non si possono ignorare
Che cosa succede se ti trovi in un ambiente in cui vengono perpetrati degli abusi e utilizzi Whatsapp per comunicare all’esterno, ma l’app ti viene tolta o disabilitata? Potreste pensare che sia paranoica, ma purtroppo la cronaca ci ha insegnato che queste realtà esistono. Non considerare questo scenario sarebbe irresponsabile.

Accolgo dunque con favore la decisione di Apple di adottare un approccio più cauto e di lavorare con questi sviluppatori per trovare alternative che, pur dando forse meno controllo ai genitori, tengono anche in mente la sicurezza dei bambini.

Essere genitori nell’epoca dell’iPhone
Il fatto che Apple stesse valutando la liceità delle applicazioni di controllo genitoriale è emerso per la prima volta circa cinque mesi fa in un articolo di TechCrunch. In quel caso l’autore si interrogava anche sulla decisione di Apple in relazione al lancio di Screen Time. Mi sembra che, a parte un più alto livello di attenzione a ciò che fa Apple e l’argomento annoso sulla natura anticoncorrenziale dell’App Store, c’è una mancanza di comprensione su quali sono le linee guida degli sviluppatori e a cosa servano davvero. Anche perché, al di fuori delle cerchie più tecniche, ne sentiamo parlare sempre e solo in occasione di fatti come questo.

Essere un genitore in questo al giorno d’oggi non è facile, ma l’ho detto già altre volte e continuerò a ripeterlo: la tecnologia dovrebbe aiutarci a fare il nostro lavoro di genitori, ma non farlo al posto nostro. Questo è forse il motivo per cui, quando gli altri genitori mi chiedono un consiglio su quali strumenti o approcci utilizzare per gestire l’uso della tecnologia da parte dei loro figli, esito sempre un po’.

Quello che funziona per me potrebbe non funzionare per qualcun altro, e questo è vero per quanto riguarda le tecnologie che permetto di usare a mia figlia, così come i libri che può leggere, i film che può vedere o la musica che può ascoltare. Sarebbe semplice se si potesse impostare una regola in base all’età, ma anche questa è una misura arbitraria che presuppone che tutti gli undicenni, ad esempio, abbiano lo stesso livello di maturità. Anche l’età dunque non può essere un metro per applicare il nostro metro di giudizio. Così come non ci possiamo aspettare che un’app, da sola, possa sollevarci dalla diffusa condizione di genitori sempre troppo stressati ed eccessivamente impegnati.

* Carolina Milanesi è analista di Creative Strategies, Inc. Si occupa di hardware e servizi, ma anche software e piattaforme. È stata in precedenza responsabile della ricerca di Kantar Worldpanel e Vice Presidente Ricerca Apparecchi Consumer per Gartner. Suoi contributi appaiono regolarmente in Bloomberg, The New York Times, The Financial Times e il Wall Street Journal, ed è spesso ospite di BBC, Bloomberg TV, Fox and NBC News e altre televisioni.