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Caro ministro, sulla Storia le sue parole non ci bastano

Bussetti ha commentato il manifesto in difesa dello studio della materia lanciato da Repubblica e firmato da oltre mille intellettuali esattamente come  fece due mesi fa. Come se quei più di mille nomi di scienziati, artisti, musicisti, sindacalisti, accademici, ricercatori e insegnanti non contassero nulla

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La storia si ripete, volendo citare Marx, una volta come tragedia, la seconda come farsa. Aggiornando la massima, si potrebbe aggiungere: e la terza come tormentone. Il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, in un’intervista a un’agenzia di stampa, ha commentato il manifesto in difesa dello studio della storia lanciato su Repubblica dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice a vita Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri, che ha superato il migliaio di adesioni e che ancora ne sta raccogliendo. E ha ripetuto quello che già due mesi fa aveva detto al nostro giornale, che chiedeva attraverso articoli, inchieste e interviste, di ripristinare la prova scritta di storia all’esame di maturità. Come se nel frattempo non fosse accaduto nulla. Come se le firme sotto quel manifesto, nato proprio dalle risposte inadeguate del ministro di fronte al danno inferto alla conoscenza del passato, non ci fossero. Come se quei più di mille nomi di scienziati, artisti, musicisti, sindacalisti oltre che di accademici, ricercatori, insegnanti riuniti senza esitazione in uno schieramento compatto, come se le più di mille voci di quelli chiamati a volte con disprezzo “intellettuali”, “élite”, fossero non solo insignificanti, ma comparse di una polemica “tardiva” e “infondata”.

Ecco quanto afferma il ministro: 1) la Storia sarà proposta, in modo trasversale, non in una sola tipologia di prova, ma in più tracce. 2) In questo modo, i ragazzi affronteranno temi storici più che in passato. 3) Il vecchio tema di storia all’esame di Maturità è sempre stato, da parte degli studenti, una scelta “marginale”, solo l’1,1%. Concetti già espressi a fine febbraio in una lettera a Repubblica che tentò di liquidare la protesta sull’esame di maturità. La storia, appunto, si ripete. Che qualcosa tuttavia sia però cambiato il ministro sembra intuirlo in un altro passaggio delle dichiarazioni di ieri: «Parliamo di una norma di due anni fa. Viene da chiedersi perché tanto clamore solo adesso? Perché quello che andava bene ieri oggi non va più?». Traduzione dal solito linguaggio obliquo cui ci ha abituati questo governo: fino a quando governava il centrosinistra gli intellettuali tacevano, ora si muovono. Il ministro sembra insinuare che ci sarebbe una precisa parte politica — che farebbe naturalmente capo a Repubblica — decisa a mettere in crisi il governo con una mobilitazione orchestrata, “a orologeria”. Vorremmo spiegare al ministro, ma soprattutto ai lettori, che non è affatto così.

La raccolta di firme non è stata fatta aprendo, come sarebbe stato più semplice e numericamente più incisivo, la sottoscrizione sul nostro sito, il più visitato d’Italia. È frutto di un passaparola tra le persone. Persone che hanno chiamato, scritto al giornale e ai loro colleghi fatto girare l’indirizzo mail in cui lasciare nome, cognome e qualifica. Sono firme vere, motivate, consapevoli. Si chiama partecipazione, è la forza della repubblica e dell’interesse generale quando i tempi diventano sempre più cupi e la volontà di cancellare la storia si sposa con il ritorno delle ombre nere del fascismo, del razzismo, della violenza in Italia e in Europa. Può, il ministro, non ascoltare le voci di chi gli sta dicendo che la riforma che sta applicando desta preoccupazione? Può ignorare quelle oltre mille firme di uomini e donne di così diversa notorietà e provenienza anche politica, ma tutte impegnate nel mondo che il suo ministero dovrebbe rappresentare? Riesce a non farsi venire il dubbio che queste persone, l’eccellenza culturale italiana, abbiano ragione? Riuscirà a fare in modo che questa storia non si ripeta?