30 aprile 2019 - 09:22

Al Baghdadi, è caccia al Califfo di Isis ricomparso dopo cinque anni

In questo lungo periodo di assenza ha badato a due cose: dirigere lo Stato Islamico e evitare di farsi prendere. Sulla sua testa c'è una taglia di 25 milioni di dollari. Cambia continuamente rifugio: potrebbe nascondersi nella provincia dell’Anbar, in Iraq. Per spostarsi è probabile usi un mezzo simile a un taxi collettivo

di Guido Olimpio

Al Baghdadi, è  caccia al Califfo di Isis ricomparso dopo cinque anni
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Al Furqan, voce mediatica dell’Isis, aveva annunciato da poche ore l’imminente uscita di un video. Nessuno sapeva su cosa fosse, di certo era importante. Dunque grande attesa, antenne «aperte», intelligence al lavoro e nei cieli iracheni si è notata una presenza costante di aerei per lo spionaggio elettronico. Hanno «pettinato» il settore di Baquba, poi a est di Kirkuk. Forse voli di normale pattugliamento, ma anche missioni legate alla ricerca di target specifici. Magari i collaboratori del Califfo, i portaordini. La ricomparsa in video, dopo cinque anni, di al Baghdadi è già da sola una notizia. Perché rappresenta la prova in vita di un leader dato spesso per spacciato. Invece è lì, ingrassato, con la barba lunga e pallido. Probabile che veda raramente la luce del Sole. In questo lungo periodo ha badato a due cose: dirigere lo Stato Islamico e evitare di farsi prendere. Sulla sua testa c’è una taglia di 25 milioni di dollari, su quelle degli iracheni hanno lanciato in marzo – zona di Ramadi - dei volantini con la richiesta di informazioni mentre sono uscite news di dissenso interno per la serie di sconfitte sul campo. Il leader, però, ha ribadito di essere lui al comando, ha «firmato» operazioni sanguinose, compresa la strage in Sri Lanka. Così tutti capiscono.

Dicono che da tempo non usi alcun telefono o apparato radio preferendo affidarsi ai messaggeri, cosa che ha fatto Osama per un decennio, fintanto che non l’hanno scovato in Pakistan grazie ad una soffiata incrociata – dice la storia – con una foto di una «figura alta» nel cortile della palazzina di Abbottabad, lo «scatto» di un satellite. Un ufficiale dello Stato Islamico, arrestato dagli iracheni, ha raccontato che le misure di protezione del Califfo sono ovviamente strettissime. Quelle rare volte che deve incontrare i suoi applicano creano i filtri: gli «emiri» devono lasciare cellulari, penne, orologi, ossia qualsiasi cosa possa essere tracciata oppure nascondere una «cimice». Poi sono trasferiti verso una destinazione sconosciuta senza sapere chi vedranno. Dopo due o tre giorni arriva il leader e se ne va con largo anticipo rispetto agli altri. Le case che lo ospitano hanno i vetri oscurati, un telone è messo davanti e sopra all’ingresso per ostacolare la ricerca da parte dei droni. Facile che scelgano un’abitazione con un garage. Per spostarsi è probabile che usi un mezzo che sembri un taxi collettivo o un’auto con famiglia a bordo, nelle vicinanze una scorta, anche questa mimetizzata. È ipotizzabile che vi siano delle staffette in moto, mandate in avanscoperta per controllare il percorso o i percorsi. Se è scaltro vorrà avere delle opzioni. Un errore può portarlo al fianco di Osama e di Abu Musab al Zarkawi e di quelle decine di quadri inceneriti da un drone, sorpresi a bordo di una vettura, dentro un covo. Hashim al Hashimi, un analista iracheno, ha ricordato nel 2018: «Dei 43 leaders principali è rimasto solo al Baghdadi. Dei 79 dirigenti di altro livello ne sono sopravvissuti appena 10». Numeri, nel frattempo, cambiati ancora.

Gli esperti hanno ipotizzato che il capo si nasconda, cambiando costantemente rifugio, nella zona occidentale della grande provincia dell’Anbar, in Iraq. Altri avevano pensato fosse insieme ai suoi – finché è durata la resistenza – nell’enclave di Hajin, in Siria. E poi molte altre località, anche più a sud. Si rivede il «film» di bin Laden: c’era chi sospettava fosse in una città popolosa, in campagna, in una casa sicura, persino a bordo di una nave. Alla fine, quando ormai sembrava una ricerca senza esiti, hanno chiuso il conto. Il suo predecessore, Al Zarkawi, è sempre stato prudente, evitando di farsi vedere. Il 25 aprile del 2006 — sottolinea il ricercatore Cole Bunzel — è apparso in un video con una «scenografia» che ricorda quello di al Baghdadi di lunedì. Sei settimane dopo era un uomo morto, ucciso da una bomba di un caccia.

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