23 aprile 2019 - 21:50

Guerra civile in Libia, l’inviato Onu: «Per uscirne la sola via è il dialogo»

Intervista a Ghassan Salamé, inviato speciale Onu per la Libia, che incontra Enzo Moavero alla Farnesina: «L’Italia chieda un cessate il fuoco»

di dal nostro inviato a Tripoli Lorenzo Cremonesi

Guerra civile in Libia, l’inviato Onu: «Per uscirne la sola via è il dialogo»
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«La politica permette sempre una via d’uscita alla guerra. Basta volerlo». Ghassan Salamé, inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, è tra i grandi perdenti del conflitto fratricida, con il diretto coinvolgimento di forze straniere, in cui sta scivolando la Libia. Ma non si dà per vinto. Per un attimo si era ventilato che si dimettesse dal suo ruolo; ma in questa intervista al Corriere rilancia la via del dialogo, «l’unica possibile per evitare la catastrofe». Oggi, alla Farnesina, incontrerà il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi: l’Italia è uno dei Paesi che sostengono il governo di unità nazionale diretto da Fayez Sarraj e riconosciuto dall’Onu.

Il dialogo, certo, non è semplice. Tra il 3 e il 4 aprile il maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, ha attaccato militarmente la capitale, difesa dalle milizie fedeli al governo di Sarraj. Una scelta che ha scombussolato le carte. A metà aprile era prevista nell’oasi di Ghadames la Conferenza nazionale tra elementi della società civile libica, poi rinviata sine die. Lo stesso Salamé l’aveva ideata e annunciata al forum di Palermo lo scorso novembre in previsione delle elezioni e della costruzione di un futuro pacifico. Ne restano solo macerie: oggi tra i due fronti prevale il linguaggio della forza.

Lei ha chiaramente accusato Haftar di boicottare il dialogo e aver precipitato il Paese nella guerra. Il maresciallo è ancora un partner?
«Le Nazioni Unite hanno sempre fatto del loro meglio per evitare proprio questo tipo di conflitto, incoraggiando i libici a lavorare per mettere in atto i nostri piani d’azione sin dal settembre 2017. L’Onu ora più che mai agisce nell’urgenza su vari fronti per scongiurare il deterioramento della situazione».

Come tornare al tavolo negoziale?
«La politica offre sempre una via d’uscita, se le parti hanno il coraggio di imboccarla. Nel settore umanitario lavoriamo notte e giorno per evacuare i feriti oltre ai civili intrappolati e fornire aiuto agli oltre 30.000 sfollati dalle zone dei combattimenti. È fondamentale che siano rispettate le tregue umanitarie, che siano applicate in modo regolare e duraturo. Questo è il primo passo per arrivare al cessate il fuoco, ed è al momento la nostra priorità».

La Conferenza nazionale resta possibile?
«Nel lungo periodo la Conferenza rimane essenziale. I suoi preparativi logistici sono ormai completati. Nessun individuo può sovvertire la volontà popolare dei libici. E il popolo libico si è espresso con chiarezza: esige la fine del periodo di transizione, vuole vivere in pace, chiede uno Stato civile retto sulle leggi. La Conferenza è la strada verso questi obiettivi».

Crescono però le complicazioni, perché crescono le ingerenze di attori terzi regionali e internazionali. Per esempio: lei si è consultato con gli americani dopo la recente presa di posizione di Donald Trump a favore di Haftar nella lotta al terrorismo? Inoltre sia Haftar che Sarraj ricevono armi e aiuti dai rispettivi alleati. Non è una sconfitta per l’Onu?
«Stiamo lavorando con tutti gli attori internazionali coinvolti per incoraggiare la distensione e il ritorno al dialogo politico pacifico. Come è ben noto, resta attivo l’embargo contro l’invio di armi e di qualsiasi tipo di aiuti bellici in Libia. Ogni tentativo di violare questo embargo da parte di individui o Stati verrà giudicato e punito dalla comunità delle nazioni».

Sappiamo che Haftar riceve armi, tra i tanti, da Arabia Saudita, Emirati, Egitto; ci sono voci di consiglieri francesi con i suoi uomini. Per contro, Sarraj ha aiuti da Qatar e Turchia. Che fare?
«Se non torniamo presto al processo politico il vero perdente sarà il popolo libico, che ha già sofferto otto anni di conflitti. La società locale ne è sconvolta, l’economia seriamente danneggiata. Se la Libia è trascinata a diventare scenario di una continua guerra civile la sua popolazione sarà vittima di una tragedia che non ha scelto. Comunque, l’Onu resterà sempre dalla parte dei civili. Non li abbandoneremo».

L’Italia è uno dei pochi Paesi direttamente interessati rimasti fermi nel sostenere il governo Sarraj, unico governo locale riconosciuto dall’Onu. Un’Italia tanto isolata può aiutare?
«Noi incoraggiamo l’Italia e tutti gli Stati membri dell’Onu a spingere per il cessate il fuoco e il ritorno al dialogo. Occorre l’impegno collettivo a porre fine a questo conflitto egoista ed inutile. Se invece la situazione dovesse deteriorarsi in modo significativo, a pagarne le conseguenze, oltre al popolo libico, sarebbero settori e interessi molto più ampi».

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