22 aprile 2019 - 21:07

Coraggio e viltà

Pasqua di sangue in Sri Lanka

di Andrea Riccardi

Coraggio e viltà
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E’ stata una Pasqua di sangue in Sri Lanka. Il mondo attonito ha seguito in diretta gli attentati. Non è stato un fatto remoto. Non solo perché ci sono una quarantina di vittime non srilankesi, appartenenti a varie nazionalità. Ma anche perché migranti di questo Paese sono sparsi in tutto il mondo e vivono con noi. Li abbiamo sentiti parlare dei loro parenti e amici in qualche modo coinvolti negli attentati. In questa Pasqua di sangue si sono accorciate le distanze del mondo globale e, nonostante le frontiere e le barriere, ci si è sentiti tutti più vicini. I terroristi hanno approfittato di questo scenario globale con un macabro simbolismo che ha fatto coincidere gli assassini con la Pasqua. Volevano fare una strage ancora più grande, come si vede anche dagli ordigni inesplosi.

Hanno colpito i cattolici e i turisti. Questi ultimi rappresentano simbolicamente l’”internazionale” del lusso. La Chiesa è considerata un’”internazionale” straniera e religiosa, la più grande del mondo. Insieme turisti e cattolici per i terroristi vogliono dire Occidente. Ma è una semplificazione aberrante. I turisti caduti non sono solo occidentali, vengono anche da India e Cina. Alcuni hanno la doppia nazionalità. E il turismo ha aiutato lo Sri Lanka a risollevarsi dalla crisi in cui l’hanno gettato anni di guerra civile con i tamil. E poi i cattolici colpiti sono tutti singalesi, cittadini leali, che hanno lottato nel passato per conservare la fede e rappresentano (con un 1.500.000 di fedeli) una comunità di mediazione tra le religioni e le etnie del Paese. La chiesa di Sant’Antonio a Colombo, uno dei bersagli principali, è un santuario nazionale e un sito storico. Registra un grande afflusso di cattolici, specie il martedì, ma anche parecchia devozione da parte dei non cristiani verso la statua del santo (portata dalla portoghese Goa nel 1828): è uno spazio di pace e convivenza religiosa. E’ quello che si vuole colpire. Sarebbe confermato, se gli attacchi sono attribuibili a un’organizzazione terroristica islamica.

Il subcontinente indiano, come gran parte dell’Asia, è terra di convivenza tra religioni diverse: attizzare il fuoco dell’odio è facile per chi vuole destabilizzare e fomentare il caos. Inoltre la Chiesa cattolica è un attore alternativo all’estremismo, anche per l’importante iniziativa, presa con l’università islamica di Al Azhar, di un patto di fraternità umana, firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande imam Tayyb (che, tra l’altro, sottolinea il ruolo di quest’ultimo nell’islam sunnita). Resta il fatto che, per i cristiani, frequentare le liturgie della Domenica è divenuto un atto di coraggio in tante parti del mondo: in Egitto e in Iraq, ma anche in Nigeria, Kenya, Pakistan e altrove. Colpire i fedeli indifesi e in preghiera è tanto facile quanto vile. Come è facile rapire i religiosi mischiati alla gente: si pensi a padre Luigi Macalli, sequestrato in Niger a settembre 2018 e non ancora tornato a casa. Sembra che il XXI secolo si prospetti come un nuovo tempo di martirio per i cristiani.

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