21 aprile 2019 - 15:08

Everest, la tenda casalinga che simula la riduzione di ossigeno

In uno studio scientifico il racconto dettagliato di come l’alteta catalano Kilian Jornet si è allenato e abituato all’alta quota in camera sua prima della doppia ascesa all’Everest

di Cristina Marrone

(Kilian Jornet Burgada da Instagram) (Kilian Jornet Burgada da Instagram)
shadow

Nel maggio del 2017 Kilian Jornet Burgada, fondista di corsa in montagna catalano, campione di ultrarail, raggiunse per due volte la vetta dell’Everest nel giro di pochi giorni (il 22 maggio e il 27 maggio) senza l’ausilio di ossigeno. L’impresa fu oggetto di grandi polemiche perché, come spesso capita in performance tanto estreme, non ci furono testimoni oculari o immagini nitide, ma neppure prove tecnologiche chiare che provassero il raggiungimento della vetta (il Gps riportò come quote massime raggiunte 8.593 metri e 8.752 metri, poco sotto la vetta di 8.848 metri). Inoltre in molti misero in dubbio l’impresa anche perché non era chiaro come l’atleta fosse riuscito ad abituarsi all’alta quota in così poco tempo dall’arrivo in Himalaya, (appena una manciata di giorni), dal momento che vive per buona parte dell’anno sul livello del mare. Gli alpinisti che tentano gli Ottomila infatti normalmente trascorrono gran parte dell’ascensione (tra i 40 e i 60 giorni) ad acclimatarsi per evitare il classico «mal di montagna», che può portare a edema polmonare o cerebrale.

Lo studio

Ora uno studio scientifico pubblicato sull’International Journal of Sport Fisiologia e performance ha spiegato nel dettaglio come lo skyrunner catalano si è preparato all’altitudine iniziando il lavoro «casalingo» ben due mesi prima di arrivare al campo base dell’Everest. Lo studio porta la firma di Grégoire Millet, professore associato di Fisiologia all’Università di Losanna, ma tra gli autori compare lo stesso Jornet.

La camera da letto trasformata in un simulatore d’alta quota

Due mesi prima di partire per l’Himalaya Kilian ha trasformato la sua camera da letto in Norvegia in un simulatore di alta quota. Ha prima cominciato a dormire in una tenda ipossica, che simula la riduzione di ossigeno, due o tre volte a settimana per abituarsi alla quota, proseguendo sempre il suo allenamento quotidiano. Un mese e mezzo prima della partenza ci ha dormito tutti i giorni, per un totale di 46 notti, simulando altitudini tra i 3900 e i 4800 metri. In pratica era come se dormisse sempre in cima al Monte Bianco. Alcune settimane prima della partenza ha iniziato a correre su un tapis roulant usando una maschera ipossica, in grado di fornire aria con un contenuto di ossigeno inferiore al normale, anche in questo caso simulando (in casa sua) un allenamento tra i 4000 e i 6000 metri.

L’ossigenazione

Jornet durante il suo training ha misurato anche la sua ossigenazione del sangue: in circostanze normali il livello di saturazione si attesta tra 89-100%: tutta l’emoglobina presente nei globuli rossi che viaggiano verso i muscoli trasporta ossigeno. In quota, soprattutto se sotto sforzo, la quantità di ossigeno comincia a scendere e la saturazione di Kilian, alla fine di tutto il percorso di acclimatamento, si è attestata intorno all’85%.

Un nuovo protocollo di allenamento

Nell’articolo si cita un vero e proprio protocollo di allenamento molto alternativo «live high, train low and high (vivi in alto, allenati in basso e in alto) dove di solito la regola è «live high, train low (vivi in alto, allenati in basso). L’acclimatamento classico prevede veloci salite ai campi alti, una notte verso i 6500 metri e poi periodi a quote più basse per abituare il corpo alla quota. In cima infatti c’è solo il 36 per cento dell’ossigeno che si trova al livello del mare. Un fisico non acclimatato rischia di collassare su se stesso, soffocando nei propri liquidi che invadono i polmoni e gonfiano il cervello. È proprio l’edema una delle cause principali delle 300 vittime che hanno trovato la morte sulla montagna più alta del Pianeta.

Dalle Alpi all’Himalaya

Le tende ipossiche forniscono meno ossigeno, ma sulle vere montagne non manca solo l’ossigeno, anche la pressione è inferiore e la simulazione casalinga non può bastare. Per questo Kilian, una settimana prima di volare in Himalaya, si è allenato sulle Alpi: 100 ore di training «reale» con sessioni di scialpinismo, corsa e riposo in quota. Tre giorni dopo essere arrivato in Himalaya Kilian Jornet, il 27 aprile, ha raggiunto il campo Base del Cho Oyu a circa 5000 metri di altitudine dove ha proseguito l’acclimatazione. Nove giorni dopo ha raggiunto la vetta (8.201 metri) e subito dopo si è cimentato nella doppia conquista dell’Everest (vera o falsa che sia). Di sicuro senza la preparazione «a domicilio» nei due mesi precedenti all’Everest, in così poco tempo, non sarebbe neppure riuscito ad avvicinarsi.

Le spedizioni commerciali

Oggi alcune agenzie di spedizioni commerciali, proprio per evitare ai clienti lunghe permanenza in quota per l’acclimatamento, propongono un pacchetto che prevede programmi di allenamento mirati prima della partenza, ovvero dormire nel letto di casa, avvolti da teli completamente stagni, dove viene ridotto l’ossigeno proprio per simulare l’alta quota.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT