16 marzo 2019 - 07:04

La truffa del Lotto vent’anni dopo: il «mago» dei raggiri dai miliardi alla miseria

L’ex usciere dell’Intendenza di finanza di Milano, ideatore della truffa, è sul lastrico. Il procuratore Walter Mapelli: «Tradito dall’avidità. Ai processi furono condannate una quarantina di persone»

di Giuseppe Guastella

L’urna contenente i numeri del Lotto e la scelta, come da consumato copione, delle palline da parte di una bimba bendata L’urna contenente i numeri del Lotto e la scelta, come da consumato copione, delle palline da parte di una bimba bendata
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Quando la tv era in bianco e nero, al sabato i bambini restavano ipnotizzati di fronte allo schermo che proiettava una serie misteriosa di nomi di città e di numeri letti da una monotona voce maschile che non tradiva emozioni. Era il rito delle estrazioni che faceva sognare e disperare, una liturgia che venti anni fa fu spazzata via da un’inchiesta che deluse milioni di italiani imponendo la profonda trasformazione del gioco più popolare nel Paese. Aldo (il nome è di fantasia per rispettare il diritto all’oblio) si sarebbe potuto arricchire, come in effetti è accaduto per qualche anno, se l’avidità non avesse preso la mano ai suoi complici. Invece, l’oscuro usciere dell’Intendenza di finanza di Milano, ideatore della più geniale truffa mai subita dal gioco del Lotto, eccezionale per la sua disarmante semplicità, ora vive, malato e in difficoltà economiche in un piccolo paese non lontano da Palermo. Al telefono la moglie, anche lei finita nelle indagini, dice che sono disperati, che vanno avanti grazie all’aiuto dei parenti che furono beneficiati anche loro dalle vincite truccate diventando miliardari e che poi, come lo stesso Aldo, hanno dovuto restituire fino all’ultima lira. Perché questa storia racconta di un tesoro di almeno una sessantina di miliardi sottratto alle casse dello Stato in almeno tre anni di imbrogli.

La fine del sogno — che si è trasformato in un incubo — si delinea quando Aldo comincia ad avvertire pericolo per sé e per la propria famiglia. La truffa gli era sfuggita di mano e si era estesa ad un gruppo di criminali pugliesi che lo minacciavano per avere i numeri buoni arrivando anche a sparare per intimidazione. Aldo decise di confidarsi con l’ispettore di Polizia Pio Radano. L’inchiesta fu avviata dall’allora sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli, oggi procuratore di Bergamo, il quale ricorda bene quando il commissario Giovanni Pepe e Radano gli riferirono della truffa. «Ero scettico, era incredibile. Sembrava impossibile che un meccanismo così presidiato potesse essere alterato con facilità e per tanto tempo», racconta nel suo ufficio. Le estrazioni si tenevano a mezzogiorno del sabato nell’Intendenza e Aldo aveva il compito di apparecchiare il rito: allineava in una scatola le 90 palline di metallo in cui un funzionario avrebbe inserito uno ad uno i bigliettini con i numeri prima di metterle in un cesto rotante dal quale un bambino bendato ne avrebbe estratte 5, quelle valevoli per la «ruota» di Milano. Aldo aveva saputo da un ex collega che c’era la possibilità di truccare le uscite, ma non come. Dopo anni di studio e di prove aveva trovato la soluzione. Semplice e micidiale. Si era accorto che quando il funzionario metteva i numeri nelle palline seguiva sempre lo stesso ordine. Bastava fare in modo che almeno 5 fossero più lucide delle altre, quindi riconoscibili, per sapere con anticipo quale numero ci sarebbe finito dentro. Il resto lo avrebbe fatto il bambino che, figlio di un complice, avrebbe scelto le palline lucide grazie a un benda che gli avrebbe messo un altro complice in modo che potesse vedere lo stesso. «La cosa gli sfuggì di mano, non per colpa sua. Aveva bisogno della complicità di alcuni colleghi e dei genitori dei bambini. Per tutti la raccomandazione fu: “Attenzione, non ci scopriranno se non eccediamo. Vinciamo spesso e poco e non solleviamo sospetti”».

La cosa, invece, si allargò a macchia d’olio. I complici confidarono ai parenti che sussurrarono agli amici e agli amici degli amici. Nessuno, però, si accorse di nulla tra chi avrebbe dovuto controllare. Quando a gennaio 1999 scoppiò l’inchiesta con i primi arresti, il Ministero delle Finanze si preoccupò davvero temendo che potesse andare all’aria un gioco che muoveva ogni anno giocate per 15 mila miliardi di lire. «Mi telefonò il capo di gabinetto molto allarmato per le possibili ripercussioni sulle giocate. Mi disse testualmente che gli utili del gioco del Lotto, pari ad un terzo delle giocate, quindi 5 mila miliardi di lire (oggi circa 2,6 miliardi di euro calcolando l’inflazione, ndr) equivalevano per il governo ad una manovra finanziaria. Mi chiese se eravamo sicuri. Dissi di sì, ma che non potevamo rispondere degli effetti indotti dalla nostra azione». In realtà le cose non andarono male: «L’indagine fu paradossalmente un volano, da un lato per la pubblicità massiccia, dall’altro perché la gente cominciò a pensare che il Lotto da allora fosse più trasparente. Nel 1999 gli incassi di Lottomatica furono 8 mila miliardi di lire, superiori a quelli dell’anno precedente». Il gioco aveva perso il suo fascino, non i giocatori.

Cosa mosse Aldo, solo l’avidità: «Era una persona modesta, per lui fu una sorta di rivincita sulla vita. Diventò miliardario attraverso la cerchia dei familiari ai quali sequestrammo qualcosa come 7/8 miliardi di lire», ricorda Mapelli. Ai processi furono condannate una quarantina di persone, tra le quali lo stesso Aldo a tre anni e 8 mesi, ma da allora il Lotto non fu più lo stesso. Furono recuperati una sessantina di miliardi di lire ed è probabile che altri soldi non siano stati individuati, come le piccole giocate ritirate in contanti. L’inchiesta accelerò la trasformazione nel gioco elettronico di oggi, fatto di estrazioni a raffica ad ogni ora del giorno. Non c’è più nemmeno il tempo per un pisolino nella speranza che qualcuno ti doni un numero dall’aldilà.

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