«Come è possibile che l’etimologia, così carica di fascino da destare persino l’attenzione dei più distratti, sia solo il racconto di un professore brillante? Come mai non riceve considerazione né a scuola né in università?», si chiede lo scrittore Marco Balzano. E ricorda un episodio di quando era al liceo: il professore spiegò alla classe distrattissima, che stava pensando a tutt’altro, come il termine latino homo abbia la stessa radice di humus, terra. Fu una rivelazione: da quel momento si scatenò un fuoco di fila di domande.

Balzano, vincitore di un Campiello, autore l’anno scorso di grande seguito col suo romanzo Resto qui (Einaudi), fa di mestiere l’insegnante, e non ha mai scordato quel che imparò da quel giorno. Ora lo ha riversato in un saggio di piacevole lettura, Le parole sono importanti (sempre uscito per Einaudi) dove lancia un appello: studiamo l’etimologia, è la scienza che permette in modo trasversale di approfondire storia, antropologia, letteratura, linguaggi, scienza. Perché noi siamo (anche, forse soprattutto) il risultato di quel viaggio delle parole che usiamo spesso senza pensarci, automaticamente, che “usuriamo” senza coglierne il profondo significato.

Nel libro propone una serie di esempi, storie di vocaboli (per esempio “divertente” o “social”, “memorie” o (va da sé) “scuola”, proprio quelli più inflazionati, che raccontano il nostro mondo. Così, quando mette in rapporto “contento” e “desiderio”, ci ricorda che il secondo termine deriva da un termine composto dalla preposizione de - indica una mancanza - e dal sostantivo neutro sidus, “stella”: e passando per le teorie astrologiche spiega come il desiderio sia, etimologicamente, la mancanza di una stella, una sorta di «cecità che ci porta a constatare l’assenza di qualcosa che abbiamo perso o che non abbiamo mai avuto, lasciandoci in uno stato di inquietudine simile a quello di chi protende le braccia».

Si può campare – e desiderare - benissimo senza saperlo, ma forse una volta scoperto il filo che ci lega al passato più remoto, penseremo la parola con maggiore consapevolezza, o meglio sapremo quali sono i significati profondi che ancora vibrano in essa, se solo li sappiamo ascoltare. Magari riusciremo a distinguere meglio tra i nostri desideri, a capirli, a padroneggiarli. Non parleremo più “a nostra insaputa”. E allora, insegniamo l’etimologia, una buona volta. Oltretutto non “è affatto una prerogativa delle materie umanistiche - insiste Balzano - né degli studi liceali, perché sapere l’origine di «chiasmo» è utile quanto sapere quella di «algoritmo» o di «mestolo».

Quanto a mestolo, potrebbe trattarsi di una mera curiosità. Ma smontare ad esempio il mito, il terrore o il culto degli algoritmi – ormai quasi una parola magica - a colpi di etimologia potrebbe essere una vera liberazione, anche e soprattutto conoscitiva. L’invito implicito al lettore è di proseguire da solo. Con perfida maieutica, Balzano a questo proposito non spiega proprio nulla.

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