16 febbraio 2019 - 19:40

«Io e la depressione dopo il parto: guarita da famiglia e amici»

Ha comprato mezza pagina sui giornali per raccontare la sua vicenda, un dramma a lieto fine. «Non lasciate sole le neomamme»

di Michela Nicolussi Moro

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PADOVA Ha comprato mezza pagina sui giornali per raccontare la sua storia di mamma colpita dalla depressione post partum. Oggi è guarita Elena Ferino, 33 anni e due figli, logopedista friulana d’origine ma padovana d’adozione. La lettera pubblicata sui quotidiani («Ho superato la depressione post partum: è stata dura, da sola non ce l’avrei mai fatta. Non posso che raccontare e ringraziare») oltre all’elenco di medici, pazienti, persone a lei vicine cui Elena esprime gratitudine, riporta una conversazione su whatsapp con una delle amiche più care. E alla quale, nel luglio 2017, confessava: «Sono stata male il primo maggio, poi è stato tutto fulmineo e molto peggio di come uno potesse credere. In un attimo mi è cambiata la vita». A voce Elena ripercorre le tappe del dolore: «Tutto è iniziato due anni fa, dopo la nascita di Livio, il mio secondogenito, avvenuta il 16 gennaio. Con Mia, la primogenita, avevo vissuto una gravidanza tranquilla, ma due settimane prima di partorire il fratellino una serie di eventi negativi mi ha molto provata. Prima la malattia improvvisa di mio padre, poi gravi problemi che hanno coinvolto altri affetti, quindi un’incomprensione con il medico durante il parto all’ospedale di Padova. E’ stata l’ultima goccia».

Elena Ferino
Elena Ferino

Cos’è successo? «Spesso i sanitari, giustamente concentrati sul piccolo, si scordano della mamma. E in questo caso si sono proprio dimenticati dei miei sentimenti, pensando solo all’esecuzione tecnica. E la cosa mi ha fatto male, la sera della nascita di Livio ero ferita dal disinteresse subìto in sala parto. In più mio figlio manifestava problemi cardiaci ma al Nido non c’è spazio per le madri, le culle sono una accanto all’altra: per potergli dormire vicino ho dovuto alzare la voce e allora mi hanno dato una poltrona. E’ nato lunedì e al venerdì siamo stati dimessi, fisicamente stavo bene. Emotivamente meno, ma la società di oggi va di corsa, oppressa da una vita frenetica e stressante; la famiglia non è più quella allargata a nonni e parenti di un tempo e gli amici si ritrovano nelle stesse condizioni, quindi è difficile ricevere aiuto».

Lei come si è organizzata? «Mia madre doveva assistere mio papà malato, i suoceri erano impegnati nei preparativi del matrimonio dei miei cognati, e comunque vivono tutti a Pordenone, così la situazione è diventata sempre più difficile. Livio rigurgitava dieci volte al giorno, la mia dottoressa di riferimento era in malattia e io non riuscivo a ricevere consigli da nessuno. Mio marito Fabio e io abbiamo cercato di arrangiarci, però arrancavamo. Finchè il 17 aprile 2017, lunedì di Pasquetta, eravamo a Pordenone, la nostra città, e dovevamo partecipare a una grigliata da amici. Ma io non mi sentivo bene, così siamo andati al Pronto Soccorso, con una bambina di 24 mesi e un neonato di tre in braccio. Ho detto alla ginecologa e all’ostetrica che stavo male e mi sono sentita rispondere: ha solo qualche perdita ematica, vada a casa. Alla grigliata ho partecipato lo stesso, per sentirmi circondata dal calore di chi mi vuole bene. Il primo maggio, però, mi hanno ricoverato in Psichiatria».

La diagnosi? «Depressione post partum. Sono rimasta in ospedale dieci giorni e una volta dimessa i miei genitori si sono trasferiti da noi per mesi. Non avevo la forza nemmeno di tenere in braccio Mia, la mia grande fortuna è che tutti mi hanno aiutata: parenti, altri sanitari e così tanti amici che durante la degenza nell’orario di visita non riuscivano a entrare tutti in camera. Mi hanno portato una valanga di caramelle e cioccolata, sono ingrassata cinque chili! Anche l’équipe del reparto è stata fondamentale per la ripresa, con la psicoterapia, i farmaci e momenti di svago. Ricordo le divertenti partite a calcetto».

Un calvario. Cosa insegna? «Le parole d’ordine sono: aiuto e istituzioni. Alle istituzioni chiedo di formare bene il personale sanitario che segue le neomamme a garantire un’assistenza più stretta, soprattutto a chi non è fortunata come me e non può contare su una rete di affetti. Ecco perché ho scelto di sostenere con donazioni Casa Priscilla, struttura che a Padova segue madri, bimbe e famiglie e sta ristrutturando la sede avuta in concessione dal Comune. Mancano ancora 250mila euro per coprire una spesa di 600mila. E poi ci vogliono spazi idonei per il Nido dell’Azienda ospedaliera».

Ai familiari di una donna in depressione post partum cosa suggerisce? «Di raccogliersi attorno a lei, di non lasciarla sola a combattere questa battaglia. Lo stesso dico ai conoscenti, ai vicini di casa: si mettano a disposizione, anche solo per la spesa. Poi magari una non chiede nulla, però sapere di poter contare su tante persone ti fa sentire più protetta».

Un grande abbraccio che ha stretto Elena e Livio anche il 9 febbraio: cento amici sono accorsi a festeggiare i loro compleanni. Il 16 gennaio il piccolo ha compiuto 2 anni e il 19 la madre ne ha celebrati 33. «La rete di rapporti familiari, amicali e sociali è fondamentali affinché mamma, bambino e intero nucleo familiare possano ritrovare un nuovo equilibrio», scrive Elena.

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