Esteri

Guatemala, 41 ragazze arse vive: la strage dell'8 marzo arriva in Tribunale

A due anni di distanza. In 56 erano rinchiuse in un centro protetto dopo avere subito abusi e violenze sessuali. Ma quando all'interno è scoppiato l'incendio nessuno ha aperto le porte per timore che potessero fuggire

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RIO DE JANEIRO - Questa è la storia di una strage. Da parte dello Stato. Non una delle tante che, purtroppo, punteggiano la vita di migliaia di minorenni in Guatemala. È un film dell'orrore girato all'interno di una casa di accoglienza per ragazzi e ragazze allo sbando, poverissimi, violentati in casa, abbandonati dai genitori, vittime di predatori e per questo affidati a una struttura dello Stato. Ma si scopre che proprio qui, chiusi in locali malsani, tenuti come prigionieri e non come vittime da proteggere, abusati e violentati, le ragazze offerte a clienti esterni per qualche ora di sesso, quasi 100 adolescenti si ribellano e decidono di fuggire.
 
Una fuga disperata che dura solo poche ore. Una volta ripresi, vengono divisi e rinchiusi in locali ancora più angusti, senza servizi igienici e letti dove poter dormire. Poche ore dopo organizzano un nuovo piano di fuga. Ma per attirare l'attenzione degli agenti che piantonato l'ingresso per poi sopraffarli, una ragazza appicca il fuoco a un materasso. Le fiamme divampano, si allargano. Le altre urlano, picchiano contro le pareti, le finestre con le sbarre, sulla porta che resta chiusa a doppia mandata.

Fuori, sul corridoio, ci sono almeno 12 agenti. Sentono le urla, vedono il fumo nero che filtra dall'interno. Sanno quello che accade. Che il locale con  56 ragazze rinchiuse sta prendendo fuoco. Ma restano fermi. Quelle adolescenti sono fuggite poche ore prima e ci stanno riprovando. Attendono ordini del capo. Il quale sta a pochi passi di distanza. Ha le chiavi appese alla cintura. Deve decidere se aprire. Resta impalato, tra le urla strazianti che arrivano dall'interno. Alla fine il capo, sbuffando, chiama il giudice dei minori. Quando finalmente risponderà, secondo cinque testimoni, replicherà stizzito: "Sono fuggite già una volta oggi, lascia che scappino di nuovo. Vediamo se sono così dure". 


Il rogo adesso avvolge tutta la piccola stanza dove le ragazze faticano a reggersi in piedi. Alcune crollano a terra svenute, altre soffocano per i fumi della plastica dei materassi, altre urlano con le fiamme che le stanno bruciando vive. Uno degli assistenti afferra la maniglia della porta. Cerca di aprirla ma si ustiona. È rovente. Qualcuno afferra una bottiglia d'acqua e cerca di raffreddarla. Solo dopo un'ora la porta viene abbattuta. Lo spettacolo è un orrore: cadaveri dappertutto, corpi ustionati, i visi deformi e devastati.

Muoiono in 41. Le altre 15 sono ricoverate. Una era incinta, un'altra aveva il bacino fratturato durante la prima fuga. Subiranno interventi e trapianti. Restano sfigurate e ancora oggi si vergognano di uscire di casa. Dovevano essere protette dai pericoli esterni. Sono state sopraffatte da quelli interni. Le ha uccise quello stesso Stato che le aveva strappate dalla strada, dalla violenza domestica, dagli stupri e dallo sfruttamento.

Accade nel 2017. L'8 marzo. Decine di ragazzi e ragazze, ospiti del centro di accoglienza, l'Hogar Seguro (luogo sicuro) Vírgen de Assunción, a Città del Guatemala, pianificano una fuga. Da almeno due anni, si sa quello che accade all'interno. Sporcizia e incuria, punizioni e vessazioni. Ragazze vestite e lavate, portate fuori di notte per soddisfare i clienti. Oltre agli stupri compiuti all'interno della casa protetta. Il Guatemala ha il tasso più alto di gravidanza minorile e di femminicidi. In cento, assieme ai ragazzi, fingono una rissa, coinvolgono gli inservienti, saltano il muro di cinta e fuggono. Sono ripresi poche ore dopo. Come evasi. Vengono divisi e rinchiusi: i maschi nel locale più grande, le femmine nella stanza più piccola. Niente bagno, niente cibo. Due materassi alzati servono da latrina. Sono tutte insofferenti. Una decide di appiccare il fuoco. Con tutto quello che accade dopo. 

Una fuga analoga era accaduta nel 2016 e i magistrati avevano accusato una dozzina di funzionari della struttura creata nel 2010 per accogliere minorenni senza dimora. "È stato un fallimento delle Istituzioni", ha commentato Marwin Bautista, sottosegretario al ministero dell'Assistenza sociale che sovrintende alle case di accoglienza. "Le conseguenze terribili di anni di abbandono e di incuria". Oggi questo fallimento, con il suo carico di orrori, approda in un'aula di giustizia. A poche centinaia di metri, il Parlamento sta per approvare una legge di amnistia. Un colpo di spugna che libererà tutti i responsabili di violenze e stragi commesse nel paese centroamericano.