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Quindici anni senza Pantani, la madre: "L'hanno ucciso, riaprire le indagini"

A distanza di 15 anni dalla scomparsa del Pirata (la sera di San Valentino del 2004) mamma Tonina non crede che Marco sia stato vittima di un'overdose di cocaina e psicofarmaci come detto dai giudici: "Troppe cose non mi convincono". Il legale: "Cercare la verità per ricordarlo nel modo giusto". E Cesenatico gli intitola una piazza

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CESENATICO -  "Conoscevo molto bene mio figlio e le sue abitudini. Da subito ho detto 'me lo hanno ammazzato', ed ora ne sono ancora più convinta. La mia battaglia continua per la verità. Spero si riaprano le indagini". Sono le parole scandite da una madre, Tonina Belletti, che a distanza di 15 anni della morte di Marco Pantani non si rassegna e si 'divide' tra lo 'studio' di carte processuali, l'allenamento ai bimbi della "Squadra Pantani", e le visite al Museo dedicato al figlio a Cesenatico, meta di pellegrinaggio per i tanti tifosi del campione romagnolo. Ma l'impegno maggiore è sempre la lotta ("combatto ancora ma a volte mi sento alla frutta") per confutare una verità giudiziaria contestata fin dall'inizio: Marco non fu vittima di un'overdose volontaria di cocaina e psicofarmaci (come sancito dalle sentenze) ma "fu ucciso, era diventato troppo scomodo".

LA BATTAGLIA DELLA MADRE: "MARCO NON ERA UN DROGATO" - Un costante 'combattimento' anche fuori dalle aule di tribunale, nella vita di tutti i giorni. "Dopo la morte di Marco - racconta Tonina - ho seguito i desideri di mio figlio. Voleva avere tanti 'figli' nel ciclismo per tirarli su a suo modo. Così ho fondato due squadre per bimbi da 6 a 12 anni. Una a Forlì e l'altra in Croazia. Un giorno ho sentito dire ad uno dei 'miei' ragazzini: 'Ma non ti vergogni ad indossare la maglia di un drogato?' Ma io non ho mai mollato e ho spiegato sempre la storia di Marco". La battaglia della mamma del 'Pirata' iniziò il 5 giugno 1999 a Campiglio quando il campione in maglia rosa fu estromesso dal Giro per un valore di ematocrito oltre i margini di tolleranza. Fu un'alba nera. Uno spartiacque tra un prima e un dopo nella vita di Marco. La sua famiglia ha sempre parlato di un complotto. "Gli esami sono stati manomessi. Purtroppo mio figlio dava fastidio. C'era molta invidia perché tutto quello che toccava diventava oro". Fu l'inizio di un declino che portò anche alla cocaina. "Me ne accorsi un giorno - ricorda Tonina - quando lessi una lettera indirizzata da Marco ad Ambrogio Fogar: 'Non ho mai fatto uso di droghe durante la mia vita da sportivo'. Io non capii più niente. Con lui non riuscivo a parlare della droga. Mi bastava guardarlo negli occhi per capire come stava". Nonostante tutto ci furono periodi anche di relativa tranquillità. "In seguito aveva smesso con questa 'porcheria' ma ci è ricaduto dopo il Giro d'Italia del 2003. Soffriva - spiega mamma Pantani  - perché la sua squadra non fu invitata al Tour. Ma sono stati momenti di debolezza, non era un drogato né mai assunse sostanze dopanti".

"ME L'HANNO AMMAZZATO, RIAPRIRE LE INDAGINI" - Dalle prime pedalate del piccolo 'Pirata' sulla bici della mamma, il gioco si trasformò in una passione poi in un lavoro. Ma la 'bella vita' o la fama non erano importanti per il grande scalatore. "Marco non si è mai interessato ai soldi - racconta Tonina - li chiedeva ancora a suo babbo. Alla fine diceva 'se smetto di correre avrò i soldi per campare?". Tonina Belletti vide l'ultima volta il figlio a Milano, nella casa della sua manager, 15 giorni prima della morte. Dal San Valentino del 2004, niente più Tour o Giro d'Italia in tv o dal vivo. Una 'censura' lunga 14 anni per la mamma di Pantani fino ai mesi scorsi quando andò a vedere la tappa in Romagna del Giro. Così ecco i ricordi delle imprese del 'Pirata': "Marco sicuramente ha lasciato un segno, non perché era mio figlio ma quando correva. E pensare - ironizza la donna - che gli dicevo di andare pianino. Sembrava che le ruote non toccassero terra, aveva una grande eleganza". Testimone del costante affetto per un ciclista e uomo non certo dimenticato è il Museo accanto alla stazione di Cesenatico gestito dalla famiglia di Marco: coppe, bici, bandane, guanti, filmati con telecronache di 'fuoco', ed articoli di giornale. "Qui ho visto gente piangere, è diventato un pellegrinaggio. In tanti vogliono ancora un gran bene a mio figlio. Ci sono pullman che da Roma dopo la visita al Papa arrivano a Cesenatico". Ma poi il pensiero torna alla sera del 14 febbraio 2004 quando il corpo senza vita di Marco Pantani fu ritrovato a terra in una stanza al quinto piano del residence Le Rose. "Marco è stato ammazzato. Non era caduto in depressione, era solo molto demoralizzato per quello che stava succedendo. La depressione è tutta un'altra cosa. Spero che si riapra il caso. Ci sono tante cose - sottolinea Tonina - che non mi convincono. Io conoscevo le abitudini di Marco. Ad esempio è stato trovato senza maglietta: piuttosto in casa stava senza mutande. La maglietta la teneva per paura della bronchite. Ci teneva troppo al suo corpo. I calzetti, poi, li indossava anche per dormire. Invece è stato trovato morto a piedi nudi". Una madre che promette ancora battaglia nel perseguire le proprie convinzioni con una determinazione che ha radici profonde. "Ho avuto due figli, uno dietro l'altro a distanza di cinque mesi - ricorda - e pensavo di non poterne avere. Per me è stata una felicità enorme seppure io e mio marito non avevamo una lira perché ci siamo sposati con i debiti. Avevo 18 anni. Ho sempre detto: 'con me fate tutto quello che volete ma non toccate i miei figli - conclude - altrimenti divento una iena. L'hanno fatta grossa. Non mi sono rassegnata".

QUELLA MORTE ANCORA DISCUSSA LA SERA DI SAN VALENTINO 2004 - Morto per l'assunzione volontaria di cocaina e psicofarmaci, per giudici ed investigatori. Ucciso dopo aver subito percosse per poi, debole e confuso, essere 'costretto' ad assumere la droga letale, per parenti ed amici. La scomparsa di Marco Pantani, a 15 anni di distanza, insomma è ancora una morte discussa. E non è esclusa, in futuro, la possibilità di un secondo esposto in Procura, da parte della famiglia del 'Pirata' per poter aprire nuove indagini. "Continuo ad avere fastidi da qualcuno, così non va bene, occorre chiamare i carabinieri": parole pronunciate al telefono da Marco Pantani secondo la testimonianza dell'addetta alla portineria la mattina del 14 febbraio 2004, alle 10.55, quasi dieci ore prima del rinvenimento del suo cadavere nel residence "Le Rose" di Rimini. La mancata chiamata tempestiva ai carabinieri, nonostante la richiesta del 'Pirata' rappresenta "l'ennesima anomalia, forse la più incredibile, di questa vicenda. E' il momento di indignarsi": è la 'denuncia' dell'avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis, che snocciola una serie di elementi definiti "controversi" o "tralasciati" nel corso delle due inchieste sulla morte del Pirata. L'ultima, aperta nel luglio 2014 per omicidio contro ignoti, in seguito ad un esposto presentato dai genitori di Marco, si è conclusa con l'archiviazione del gip di Rimini (su richiesta della Procura per infondatezza della notizia di reato). Sentenza resa definitiva anche dalla Cassazione nel settembre 2017.

L'AVVOCATO: "NON MI ARRENDO FINCHE' NON MI DARANNO RISPOSTE LOGICHE" - "Credo che quella mattina in quella stanza ci fosse qualcuno e credo che Marco Pantani, quella chiamata alla reception l'abbia fatta -  è il pensiero del legale - per far desistere da atteggiamenti non graditi chi era con lui in quella camera. Sicuramente assumeva sostanza stupefacente ma si relazionava con il mondo esterno e non era chiuso in quella stanzetta in preda ai propri deliri". L'overdose volontaria (sancita dalle sentenze), dunque, è tuttora contestata dai familiari secondo cui Marco fu ucciso. Ecco lo scenario a sostegno del presunto omicidio (indicato dall'esposto poi 'archiviato'): ferite sul corpo non tutte compatibili con una caduta; un'alterazione della scena del (presunto) crimine, come lo spostamento del cadavere, prima dell'intervento delle forze dell'ordine; stanza a soqquadro ma mobili non rotti, ovvero, un cosiddetto 'disordine volontario' (creato per depistare). E ancora: eventuali ospiti occasionali provenienti dall'entrata sul garage (senza quindi essere visti) ed, infine, l'ipotesi di una dose di cocaina letale ingerita a forza, basata sulla perizia medico legale di parte difensiva. Secondo il professor Francesco Maria Avato la droga trovata nel corpo di Marco doveva essere stata assunta poco prima della morte ed era in quantità molto superiore rispetto a quella attribuita di norma ai consumatori di questo stupefacente, avvicinandosi piuttosto ai cosiddetti 'ovulatori'. Circostanze esaminate e confutate singolarmente o ritenute non significative prima dalla Procura poi dal gip di Rimini che, nel decreto di archiviazione del giugno 2016, ha definito quella dell'omicidio una "mera congettura fantasiosa". Risposte che però non convincono ancora il legale della famiglia Pantani'. "Io non mi arrendo - ha detto l'avvocato - fino a quando qualcuno mi darà delle risposte logiche". Ci sono nuovi elementi per presentare un ulteriore esposto con l'obiettivo di fare aprire per la terza volta le indagini? "Non lo escludo, secondo me - ha risposto - sarebbe una cosa positiva ma è una decisione che devono prendere i parenti di Marco. Credo che la famiglia possa avere il materiale per fare riaprire le indagini". Il legale, quindi, auspica l'apertura di nuove indagini e cita il caso della svolta nel processo per la vicenda di Stefano Cucchi: "Fino a qualche tempo fa, Ilaria Cucchi era scambiata per una visionaria. Poi sono state mostrate le foto del fratello, importanti anche per scuotere le coscienze". Quanto alla morte di Pantani, "nessuno ha mai detto che fu massacrato di botte. Secondo noi - questo il pensiero di De Rensis -  è stato picchiato e abbiamo affermato che, in un fisico debilitato, una concatenazione di comportamenti possa aver portato alla morte. Le foto di Marco sul lettino dell'obitorio mostrano, a mio parere, come sono andate le cose. Ha un bernoccolo in testa ed un buco nella palpebra, probabilmente un colpo inferto con un anello. Ha il naso tumefatto e - continua il legale - delle ferite abrasive circolari in tutta la nuca come quando si viene tenuti con il braccio. Ferite non compatibili con una caduta. Non dobbiamo ricordarci di Marco Pantani soltanto nelle ricorrenze della morte. Se lo vogliamo ricordare nel modo giusto - ha concluso De Rensis - dobbiamo fare tutto il possibile per cercare la verità e soprattutto dobbiamo dare delle risposte che non offendano l'intelligenza delle persone".

CESENATICO GLI INTITOLA PIAZZA: "E' NEL NOSTRO DNA" - Una piazza "Marco Pantani' a Cesenatico, per ricordare il campione romagnolo a 15 anni dalla scomparsa. Sarà il secondo 'battesimo' di un luogo (l'attuale piazza Marconi) già meta di appassionati in 'pellegrinaggio' da tutta Italia per la statua del grande scalatore (base di marmo, opera in bronzo) inaugurata nel 2014. Qui Marco giocava da bimbo con gli amici: a poche centinaia di metri dalla piazza, infatti, abità a lungo con la famiglia. "La città ha voluto restituire qualcosa a Pantani perché ci ha dato tantissimo. Abbiamo inviato la richiesta in Prefettura ed attendiamo il nullaosta per l'intitolazione. Chi ha conosciuto Marco, se lo porta dentro, è entrato nel nostro dna", spiega il sindaco di Cesenatico, Matteo Gozzoli con un passato da ciclista 'junior' e, come tanti nella città romagnola, cresciuto sulle due ruote con il mito del 'Pirata'. "Negli anni Novanta - ricorda - quando gli automobilisti ti vedevano pedalare da ragazzino spesso gridavano 'Vai Pantani'. Avevo dieci anni e, insieme ai miei compagni, lo incontrammo più volte in allenamento sui tornanti di collina". Nonostante le sentenze nel paese in cui è cresciuto si respira ancora il "senso di ingiustizia". "La sensazione generale che sia successo qualcosa di strano è forte. Quasi come se un personaggio troppo grande dovesse essere ridimensionato. E' utile ribadire il fatto che Pantani venne fermato per valori anomali di ematocrito, quindi, dal punto di vista delle analisi non è mai risultata alcuna assunzione di sostanze dopanti. A 15 anni di distanza è sempre ricordato come un uomo che ha fatto tante belle cose. Le polemiche nazionali - conclude il sindaco di Cesenatico - non hanno minimamente intaccato il rapporto con la comunità".
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