13 febbraio 2019 - 21:54

Venezuela, l'appello di Dudamel ai militari: «Fate entrare gli aiuti»

Il direttore d'orchestra contro Maduro. Ma il confine resta chiuso. La vice: «Sono avvelenati».

di Rocco Cotroneo

Venezuela, l'appello di Dudamel ai militari: «Fate entrare gli aiuti»
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«Fate entrare subito gli aiuti umanitari in Venezuela!». Stavolta è la voce di Gustavo Dudamel, uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo, a risuonare via Twitter in direzione del governo chavista di Caracas, sordo da giorni a tutti gli appelli. «I nostri bimbi, i nostri anziani hanno bisogno di cibo e medicine, salvare vite e alleviare le sofferenze della gente dev’essere la priorità. Gli aiuti devono essere ricevuti, perché non dovremmo?», scrive l’enfant prodige venezuelano della musica sinfonica, oggi alla guida della Filarmonica di Los Angeles. Le recenti prese di posizione di Dudamel sui diritti umani nel suo Paese, e ora quelle sul problema degli aiuti, fanno particolarmente effetto, perché per anni il musicista è stato nel mirino degli oppositori a causa dei suoi silenzi, accusato di essere fiancheggiatore del chavismo. Cosa certamente vera parecchi anni fa, quando tutto il «Sistema» delle orchestre giovanili — fondato dal mentore di Dudamel, il maestro José Antonio Abreu, ben prima dell’arrivo di Chávez — accettò di farsi cooptare dal regime, tenendosi a distanza dalle lacerazioni politiche interne.

Sempre centellinando le parole, ma non omettendo più nulla, Dudamel ha rotto gli indugi dopo la scomparsa dalla scena pubblica e infine la morte (marzo 2018) del maestro Abreu. Ha prima protestato per la caccia agli oppositori e gli omicidi nelle manifestazioni, fino ad appoggiare Juan Guaidó il mese scorso, come presidente «incaricato». Per il regime, il musicista è caduto in disgrazia e viene ignorato. Lui stesso non mette piede in Venezuela da molto tempo, e ha preso la nazionalità spagnola per via del matrimonio con l’attrice Maria Valverde.

Intanto la questione degli aiuti umanitari tiene banco nello stallo tra i due governi venezuelani, quello che tuttora detiene armi e potere di Nicolás Maduro, e l’interim di Guaidó. Container di generi di prima necessità e medicine vanno accumulandosi a Cucuta in Colombia, sul lato del ponte sbarrato dai venezuelani. Si stanno organizzando altri due punti di raccolta, uno in Roraima al confine con il Brasile e l’altro sull’isola caraibica di Curaçao, territorio olandese. Guaidó ha annunciato ora che il giorno decisivo per l’ingresso degli aiuti è il prossimo 23 febbraio, ma non ha specificato come questo avverrà. Tutti gli appelli alla forze armate affinché disobbediscano a Maduro e facciamo entrare i camion sono finora caduti nel vuoto. Lo stesso Dudamel, nel suo comunicato, chiede all’esercito che «gli aiuti arrivino quanto prima possibile a coloro che tanto ne hanno bisogno».

Ogni giorno Maduro replica sostenendo che gli aiuti sono un trucco, e che alle frontiere patrie si sta organizzando una invasione del Paese perché le Ong sono al soldo dell’imperialismo americano. La sua vicepresidente Dalcy Rodriguez si è spinta ancora oltre sostenendo che i prodotti in arrivo dall’estero sono «avvelenati e cancerogeni» e sarebbe come «usare un’arma biologica contro il nostro Paese». Difficile prevedere gli sviluppi del braccio di ferro, ma Guaidó dall’Assemblea nazionale (senza poteri) continua a fare appelli a tener duro e perseverare nel tentativo di logorare il regime. Sono decisioni poco più che simboliche quelle di nominare nuovi ambasciatori nei Paesi che lo hanno riconosciuto, mentre qualche conseguenza pratica in più potrebbero avere le nomine al vertice di Citgo, la compagnia petrolifera di Stato in territorio Usa, la quale secondo le recenti sanzioni dovrebbe cessare di inviare dollari in Venezuela, e metterli invece a disposizione del governo alternativo di Guaidó. Il quale, con un tweet ieri, ha anche ringraziato il governo italiano per la recente mozione in Parlamento. L’Italia, unico tra i principali Paesi Ue, continua a non riconoscere Guaidó come presidente, ma adesso si è dichiarata apertamente a favore di nuove elezioni presidenziali.

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