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La casa smart comandata da altri: ecco 'Someone', l'esperimento che fa entrare chiunque

Un momento dell'esperimento "Someone", condotto tra New York e San Francisco
Un momento dell'esperimento "Someone", condotto tra New York e San Francisco 
La nuova installazione dell'artista Usa Lauren McCarthy al confine fra privacy e sorveglianza. I gadget connessi di quattro abitazioni sotto il controllo dei visitatori di una mostra, per capire quanta intimità cediamo ad Alexa & co
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LAUREN McCarthy non è nuova a questo tipo di provocazioni. Artista e professoressa al dipartimento di Design media art dell’università della California (sede di Los Angeles) da tempo indaga gli aspetti più intriganti e inquietanti del rapporto fra gli esseri umani e la tecnologia. All’intreccio di ambiti scottanti come amore, privacy e sorveglianza. In passato, per esempio, aveva trasmesso in streaming i suoi primi appuntamenti organizzati tramite l’applicazione di dating OkCupid chiedendo a un esercito di lavoratori sulla piattaforma Amazon Mechanical Turk di fornirle in tempo reale le indicazioni su come procedere. Fra l’altro, fra gli spettatori di quel test in diretta c’era anche il suo attuale marito. Un paio di anni fa, invece, aveva lanciato un social network – battezzato Follower – in cui ci si poteva candidare a farsi seguire per davvero da una persona in carne e ossa. Senza intromissioni, nel mistero, ma sapendo che qualcuno ci stava pedinando non solo online ma anche nella vita reale. Prima, invece, aveva creato una chat che attraverso l’analisi facciale dei partecipanti suggeriva, in base alle emozioni prevalenti, come proseguire la videoconversazione.
 
•L'esperimento: i gadget intelligenti comandati da altri
Adesso ci riprova. Allargando un progetto che aveva già sperimentato in prima persona. Si chiama "Someone" e in sostanza consente ai passanti, chiunque lo voglia, di prendere il controllo di un appartamento – anzi, di quattro – gestendo tutti i suoi gadget intelligenti. Lampadine, speaker, bollitori, termostati: gli avventori della galleria d’arte al 205 di Hudson Street, a New York, fino al 31 marzo possono dunque infilarsi nelle vite connesse di quattro nuclei famigliari che, per due ore al giorno, si metteranno a disposizione di questa singolare operazione di controllo. Una sorta di Grande Fratello in cui, però, grazie alle potenzialità dei dispositivi, i visitatori potranno essi stessi incarnare delle Alexa o degli assistenti di Google, cercando di stabilire un qualche grado di connessione con gli abitanti. Possono far partire la musica, intervenire nel corso delle conversazioni delle persone tramite gli altoparlanti dotati di microfoni, come quelli sempre più diffusi nelle nostre case specie dopo l’ultimo boom natalizio, e comunicare anche tramite un sistema che sintetizza il testo inserito.
 
Tre di queste abitazioni su trovano a Brooklyn e una a San Francisco. Due ore al giorno, come si spiegava, in cui gli abitanti – pur con alcune procedure di sicurezza – perderanno il controllo dei loro dispositivi. Potendo solo 'chiamare' aiuto esattamente come quando ci rivolgiamo ai gadget come Echo, HomePod o Google Home. Solo che in quel lasso di tempo dovranno esclamare "Hey qualcuno" o qualcosa di simile. Dall’altra parte, infatti, troveranno i visitatori della mostra che in realtà è molto più ampia. Si intitola “Refiguring the future” e presenta undici nuovi lavori e opere immersive, proprio come "Someone", firmati da artiste femministe, queer, antirazziste e in generale impegnate nella ricerca sull’incrocio fra politica e tecnologia. Fra loro Morehshin Allahyari, Lee Blalock, Mary Maggic, Claire e Martha Pentecost e molte altre.
 
•Un mondo di assistenti virtuali
Lo scorso anno McCarthy aveva lanciato qualcosa di simile. L’aveva battezzato "Lauren" e in sostanza si trattava dello stesso concept fra arte e tecnologia. Solo che a impersonare l’assistente virtuale era lei stessa, 24 ore al giorno sette giorni su sette, per un certo lasso di tempo. I suoi lavori, infatti, si piazzano al limite fra la sperimentazione sociale e il modo in cui recuperare e reintrodurre le interazioni umane negli ultimi sviluppi tecnologici. Considerando che il mercato degli assistenti virtuali e degli smart speaker viaggia a ritmi incredibili (in crescita lo scorso anno di quasi il 200%, con decine di milioni di pezzi finiti nei nostri salotti e nelle nostre cucine e l’impasse di Alexa durante le feste natalizie) e che quest’anno quelli con display, come l'Echo Show o il Facebook Portal, occuperanno il 12% del settore, è evidente che sia quello uno dei fronti più caldi della domotizzazione delle abitazioni.
 
•Zero privacy: la casa a comando
I risultati delle sue performance sono estremamente significativi, ci mostrano come le nostre dinamiche di socializzazione siano già fortemente condizionate (magari compromesse?) dalla tecnologia e che in un contesto in cui l’intelligenza artificiale sarà sempre più pervasiva difendere gli spazi di reale umanità sarà molto complicato. Oltre che, certe volte, perfino sorprendente. Se in "Someone" è evidente la preoccupazione per l’invadenza di microfoni, videocamere e assistenti nelle nostre abitazioni – tanto che, paradossalmente, restituire il controllo ai visitatori della mostra significa appunto cercare di sottolineare questa perdita di intimità – l’idea, racconta l’artista a Engadget, le è venuta proprio “dalla gelosia nei confronti di Alexa”. “La propria abitazione è uno spazio così intimo e si sdogana la presenza di questi dispositivi dando loro il controllo di quel che si fa tramite le videocamere: ma chi è questa Alexa? Riflettendo sul punto, e considerando che sono anche una persona molto timida, ho architettato questo piano per trasformarmi in Alexa”. Ne è uscita una rete di sorveglianza tipica delle più oscure sceneggiature distopiche messa in piedi con un obiettivo tuttavia costruttivo: creare momenti di autentica connessione umana per se stessa e, ora, per gli altri. Riflettendo su quanta privacy consegniamo a microfoni, camere e sensori che popolano le nostre case.