Coni e calcio, salvare
l’autonomia dello sport

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
lo sport è uno dei capisaldi nell’educazione dei giovani e non solo. Ho letto della recente riforma all’interno del mondo sportivo italiano e delle nuove modalità di gestione dei fondi destinati al Coni. Suggerirei che al Coni sia destinata una quota dei contratti di compravendita dei giocatori, compresi gli stranieri, che gravitano nello sport italiano di qualunque tipo, a partire dal calcio (ben sappiamo quanto denaro fa girare). Ripartire equamente anche solo una percentuale minima delle transazioni destinandola al mondo dello sport non gli farebbe ottenere maggiori fondi? Mondo a cui società e singoli giocatori devono riconoscenza!
Mario Taliani

Caro Mario,
A dire il vero la riforma del governo non soltanto non aiuta il Coni, ma abolisce di fatto l’autonomia dello sport italiano. Altro che introdurre nuove forme di finanziamento automatico, a beneficio delle varie federazioni; l’idea è renderle dipendenti dal governo, quindi dalla politica. C’è una trattativa in corso, ci sono decreti attuativi da scrivere, quindi molte cose sono da definire. Se però alla fine verrà costituito l’ennesimo carrozzone pubblico, con questo nome che pare preso da una spa di provincia («Sport&Salute»), non sarà una buona notizia per lo sport italiano. Che in questi anni si è amministrato in modo non sempre impermeabile alla politica, ma spesso salvando una distanza e un’autonomia che sarebbero state travolte. Non è questione di persone, che vanno e vengono, ma di istituzioni.
Tutti sappiamo che là dove arrivano i partiti prendono il controllo e nominano i loro uomini. È possibile che qualche federazione sia da troppo tempo in mano agli stessi nomi; ma è certo che, se sarà la politica a tenere i cordoni della borsa, vorrà qualcosa in cambio. Diversa, caro Mario, è la proposta di redistribuire una parte del gigantesco giro d’affari del calcio. Non penso tanto ai trasferimenti di giocatori, quanto ai diritti tv. Una qualche forma di perequazione va trovata; altrimenti non ha senso mantenere un campionato a venti squadre, in cui solo poche sono davvero competitive.

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Storia

«Ad Amburgo ci ritroviamo per guardare Sanremo»

Amburgo è la più importante città portuale della Germania, un grande giardino attraversato da centinaia di canali, dove la storia si mescola alla contemporaneità. La città è costellata da musei, cinema e teatri, aperti quasi ogni giorno, che ne denotano una fervente anima culturale. Qui non è difficile incontrare ragazzi italiani preparati e poliglotti, emigrati per cercare un lavoro che in Italia non riuscivano a trovare. Francesca, laurea in Filosofia, che ha trovato impiego in un’azienda di strumenti musicali, mi accoglie raccontando che la Germania è il posto ideale per lavorare. Basta però un cenno al tuo posto di lavoro in Italia per vedere i suoi occhi farsi grandi: per lei, e per tanti italiani, il poter rientrare nel proprio Paese, forse, rimane ancora una speranza. Vivere in Germania non è sempre facile e spesso gli italiani continuano a sentirsi ospiti, mi ricorda Pierfrancesco, architetto, che lavora per un importante studio. Scopri quindi con stupore che per Francesca e per i suoi amici italiani il Festival di Sanremo diventa un modo per ritrovarsi per qualche ora, seduti insieme a guardare la televisione. E sono questi giovani, laureati e preparati, che si ritrovano a guardare e commentare il festival da lontano, a farti capire che esiste un’Europa di cui non si parla, che è un intreccio di lingue, culture, competenze. Sono questi giovani l’orgoglio del nostro Paese!
Miriam Dalla Via

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