«Prendete i nostri commenti e disseminateli ovunque. Forum online, sezione commenti dei maggiori giornali nazionali e locali, social network. La nostra è una guerriglia culturale». La chiamata alle armi di Vox News, sito di propaganda sovranista e xenofoba con Rambo in home page, non è passata inascoltata. Un paio di post per lanciare una campagna contro «le toghe rosse» che parte dal caso Diciotti e investe gran parte della magistratura, bollata come «di sinistra» e anti Salvini.

Il 24 gennaio, dopo l’invio al Senato della richiesta di autorizzazione a procedere, Vox News annuncia «l’inizio di un’offensiva che si farà durissima » e «un tentativo di colpo di Stato delle magistrature rosse». In particolare, «secondo alcune informazioni, il tribunale dei ministri di Catania sarebbe composto da 3 membri di Magistratura Democratica, la corrente di minoranza della magistratura. Di estrema sinistra. La stessa alla quale appartiene Patronaggio, il procuratore di Agrigento da cui partì l’indagine. (...) Un partito di sinistra della magistratura - legato al Pd - sembra interessato a processare il leader del primo partito italiano. E che vuole riaprire i porti attraverso una decisione non legislativa, ma giudiziaria. Questo è un colpo di Stato».

A dispetto del logo «fact checking» che campeggia accanto al testo, la notizia è una bufala. Nessuno dei quattro magistrati citati è iscritto a Magistratura Democratica. Ma tanto basta per costruire la teoria cospirazionista e «suffragarla» con una fantomatica lista di seimila toghe rosse (su circa ottomila magistrati).

Nei giorni successivi Vox News pubblica un paio di aggiornamenti: le toghe rosse del caso Diciotti sono due e non quattro (comunque un falso), la lista viene rimossa «per evitare fraintendimenti», restano la tesi di fondo («le toghe rosse vogliono rovesciare la democrazia») e la foto del procuratore Patronaggio (il volto sinistramente cerchiato) in piedi con altre persone mentre ascolta Renzi. Come si trattasse di un comizio del Pd. In realtà la foto risale alla fine del 2017 quando Renzi (all’epoca segretario Pd) assieme all’allora guardasigilli Orlando andò a visitare la «stanza della memoria», l’ufficio del palazzo di giustizia di Agrigento dove lavorava il giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia nel settembre 1990. Patronaggio era lì, ovviamente, in quanto padrone di casa.

Falsità e mistificazioni diventano il carburante di una campagna d’odio con centinaia di tweet ogni giorno, che si propaga da quel momento su migliaia di blog e profili social, nella stragrande maggioranza con nomi di fantasia corredati da bandierine italiane e simbologie fasciste. Alcuni nomi: @StopInvasione, @Noalrazzismocontrogliitaliani, @litaliasiamonoiitaliani. La tecnica è quella di ottenere visibilità andando a rimorchio dei profili social di mass media e politici, oppure direttamente sulle pagine dei «nemici», o intercettando i trend topic del momento.

Tra i duemila e i diecimila follower, di piccola-media portata. Perfetti per propalare la «guerriglia culturale» con tweet tipo «Magistratura Democratica, il partito degli immigrazionisti schiavisti europeisti disposti a tutto». E per portarla in casa dei magistrati progressisti. Ovvero sul profilo Facebook di Magistratura Democratica. Fino a un paio di settimane fa riservato a una ristretta platea di addetti ai lavori, adesso travolto da messaggi infamanti e violenti.

Nelle mailing list interne di Magistratura Democratica si è aperto un dibattito. Una parte degli iscritti propone di chiudere il profilo Facebook, perché «non possiamo difenderci da una azione organizzata con tecniche professionali».

La segretaria di Md, Mariarosaria Guglielmi, non ci sta: «C’è un clima di intimidazione indegno di un Paese europeo. L’attacco orchestrato ad arte ha l’obiettivo di recludere la magistrature in stanze chiuse lasciandola senza voce. Ma non possiamo cedere».

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