Sono passati nove anni dalla morte di Stefano Cucchi, ma la vicenda non è affatto chiusa. Ieri pomeriggio è toccato al maresciallo dei carabinieri, Davide Antonio Speranza, salire sul banco dei testimoni. Un’audizione ricca di significato: il giovane militare è colui che aveva firmato due atti contenenti l’indicazione delle condizioni di salute di Cucchi a seguito dell’arresto, avvenuto il 16 ottobre 2009, per questioni di droga. La prima annotazione, nonostante risultasse datata nel giorno della morte di Stefano, come raccontato ieri in aula da Speranza, «fu redatta dopo la sua morte e retrodatata perché pensai che si trattasse di un atto che avrei dovuto redigere alla fine del servizio».

L’accusa di calunnia e falso

Ancora più grave quanto accaduto in occasione della seconda annotazione, scritta il 27 ottobre 2009, che, ha spiegato ancora il testimone, fu «dettata dal maresciallo Mandolini» ossia uno dei militari imputati. Al sottufficiale dell’Arma vengono contestati i reati di calunnia e falso. Proprio Mandolini, infatti, «quando lesse la prima annotazione, disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla, ma non lo feci».

Due atti diametralmente opposti, con il primo che affermava che «Cucchi era in stato di escandescenza» e il secondo in cui si leggeva che il geometra romano «non lamentava nessun malore né faceva alcuna rimostranza in merito». Del fatto che le due annotazioni fossero diverse e che la seconda era stata fatta sotto dettatura - cosa non menzionata né davanti al pm Vincenzo Barba (rappresentante dell’accusa nel primo processo) né in Corte d’Assise nel primo dibattimento - Speranza ha sostenuto che fu «perché ho ritenuto fosse irrilevante. Adesso che è uscito tutto sui giornali, ci ho pensato su». Nell’udienza del processo a carico di cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, sono stati ascoltati anche il capo della Squadra Mobile di Roma, Luigi Silipo, e Carlo Masciocchi, professore ordinario di Radiologia dell’Università dell’Aquila e nel 2015 consulente della difesa Cucchi. Masciocchi, ex presidente della Società italiana di Radiologia Medica, incalzato dal pm Giovanni Musarò, ha ribadito che sul corpo del giovane «sicuramente c’erano due fratture vertebrali» a livello lombo-sacrale, entrambe «recenti» e «contemporanee». Nell’altro filone di indagine, quello sui «depistaggi», è indagato il generale Alessandro Casarsa. All’ufficiale è contestato il reato di falso.

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