Il governo francese è orientato a non entrare nel merito dell’analisi costi e benefici, ricevuta pochi giorni fa dall’ambasciatore a Roma, prima dello scoppio della crisi diplomatica con l’Italia. Certo, il documento sarà esaminato ma non sarà né condiviso e nemmeno contestato perché, come spiegano fonti d’Oltralpe vicino al dossier, per la Francia la nuova Torino-Lione si deve fare e non c’è alcuna intenzione di ridiscutere l’accordo internazionale e nemmeno il tunnel di base. Al massimo si può accettare la cancellazione della stazione di Susa.

In quel dossier, firmato dalla commissione coordinata da Marco Ponti, si parla di un saldo fortemente negativo tra i costi della Torino-Lione e i suoi benefici: circa 7 miliardi ma fonti del ministero dei Trasporti hanno contestato questa, e altre ricostruzioni, definite «un fantasioso caravanserraglio di cifre». Parigi, però, si è chiamata fuori e non risponderà nel merito dei contenuti del dossier anche se non è mancato chi abbia sottolineato due anomalie. La prima: il nuovo studio è stato voluto dal governo italiano, portato avanti con una metodologia che non troverebbe riscontro nelle regole francesi e nemmeno in quelle dell’Ue. La seconda: al governo francese non sarebbe stato inviata quella parte di analisi dove si analizzano i costi del «non fare».

Insomma, Parigi non cambia idea sulla Tav e aspetta che il governo Conte decida. Se il dossier Ponti può accelerare i tempi della scelta ben venga ma è chiaro che, in caso di rottura, sarà l’Italia a prendersi le responsabilità e a pagarne le conseguenze, anche economiche. Già, perché ieri la commissaria Ue ai Trasporti, Violeta Bulc, durante un incontro col sindaco di Milano sulla riapertura dei Navigli «è stata molto chiara - ha spiegato Giuseppe Sala - l’Italia farà quel che vorrà, ma nel momento in cui formalmente rinuncia alla Tav i fondi verranno immediatamente redistribuiti». Subito. E senza condividere l’esito dell’analisi costi e benefici che, comunque, sarà esaminata.

Del resto nei giorni scorsi erano state fonti della Commissione a smorzare l’impatto del dossier Ponti: «Non l’abbiamo chiesto noi», hanno spiegato da Bruxelles ricordando come un’analisi costi e benefici sia stato già presentata nel 2015 congiuntamente da Italia e Francia ed era positiva. La replica del ministro Danilo Toninelli, non si era fatta attendere: «L’analisi è stata decisa da un governo sovrano che vuole spendere al meglio i fondi pubblici». Ma non cambia la sostanza: sono a rischio 813 milioni di euro, fondi europei che Parigi non vuole perdere arrivando, se necessario, a chiedere in risarcimento all’Italia. Per sapere se dall’ultimatum si passerà ai fatti bisognerà aspettare fino al 25 marzo, quando è in programma la riunione di verifica dell’avanzamento dei progetti delle reti transnazionali europee.

I tempi, insomma, sono stretti. Il premier, Giuseppe Conte, ha assicurato: «Non si tratta di fare valutazioni personali ma di riunirsi alla fine dell’attività istruttoria e decidere collegialmente in modo trasparente». E le scelte non si faranno sulla base di «valutazioni emotive ma dell’interesse degli italiani». Nel governo non c’è solo la Lega a spingere per il sì. Alla Camera il ministro Giovanni Tria, è stato travolto dai fischi quando, pur senza mai nominare la Tav, ha invocato sulle infrastrutture «il tempo di agire e fare».

Intanto la Corte dei Conti Ue, che ha deciso di promuovere un controllo di gestione sulla spesa comunitaria per la Tav e per il Brennero, lunedì incontrerà a Montecitorio i parlamentari italiani. «In quell’occasione denunceremo l’atteggiamento del governo Conte che sta bloccando da mesi i cantieri delle grandi opere».

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