7 febbraio 2019 - 16:44

La Francia e lo scontro con l’Italia: ecco perché le tensioni sono molto più dannose per noi che per Parigi

È assurdo mettere a rischio la vastissima rete di rapporti economici, culturali, militari e umani a colpi di malintesi e insinuazioni: soprattutto guardando alla Germania

di Massimo Nava

La Francia e lo scontro con l’Italia: ecco perché le tensioni sono molto più dannose per noi che per Parigi
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In diplomazia, il richiamo del proprio ambasciatore è un forte segnale di tensione, di disagio per un torto subito, di incomprensioni. Di solito, non succede fra Paesi con una lunga tradizione di amicizia e cooperazione nei campi più diversi. Di solito, bastano una telefonata fra ministri o un gesto distensivo da una parte o dall’altra, a prescindere dai torti reciproci. Se addirittura occorre risalire al tempo di guerra per avvertire un simile livello di scontro, significa che la corda, tirata troppo a lungo negli ultimi mesi, si è davvero spezzata. Si dice che le parole sono spesso pietre. In politica (e in campagna elettorale) sono pietre pesanti, perché fanno danni proprio in quegli ambiti in cui andrebbero « maneggiate » con cura e attenzione, a cominciare dalla comunità degli affari e dalle relazioni industriali, pubbliche e private, per non parlare della sensibilità collettiva, fragile e suscettibile quando si agitano le bandiere della rivalsa e del patriottismo da bar.

Come si è arrivati a questo punto è facilmente sotto gli occhi di tutti, dato che le opinioni pubbliche francese e italiana assistono da mesi a uno stillicidio di dispetti, giudizi malevoli, incursioni a gamba tesa nella politica altrui. Sul conto francese vanno messe le rudezze della polizia alla frontiera di Ventimiglia, le ambiguità sul dossier Libia, i calcoli nazionali sul dossier Fincantieri, la scarsa disponibilità sul fronte migrazioni, il giudizio sprezzante del presidente Macron a proposito di nazionalismi e populismi paragonati alla «peste ». Sul conto italiano vanno messe le incursioni del governo in carica a sostegno dei gilet gialli (che sono cosa diversa da gemellaggi fra partiti e leader), il voltafaccia sulla Tav, le affermazioni strumentali sulla «Francia coloniale», l’imbarazzante cattivo gusto di molte battute e infine un atteggiamento tendente a considerare la Francia un avversario scomodo (e non un prezioso alleato) nelle complesse negoziazioni in sede europea.

Più difficile comprendere come ricucire in fretta i rapporti, anche se la nota francese sembra volere medicare subito lo strappo «per ritrovare una relazione di amicizia e rispetto reciproco all’altezza della nostra storia e del nostro destino comune». Basterebbe aggiungere «all’altezza dei nostri interessi comuni» per rendersi conto di quanto sia assurdo mettere a rischio la vastissima rete di rapporti economici, culturali, militari e umani a colpi di malintesi e insinuazioni. Se è vero che i motivi di dissenso non sono mancati né ieri né oggi, con i diversi governi e nelle diverse stagioni, così come è vero che la Francia ha spesso inteso la cooperazione industriale a senso unico, è soprattutto vero che l’Italia ha molto più da perdere dallo scontro, cacciandosi in una posizione di orgoglioso isolamento, proprio nel momento in cui è sempre più stretto il rapporto fra Berlino e Parigi. Ogni governo ha il diritto di portare avanti la propria visione politica. Altra cosa è farlo con battute offensive o dando aperto sostegno a gruppi di dimostranti, senza calcolare che dispetti e battute possono tornare al mittente. Con gli interessi. Il che, prima di essere un peccato di orgoglio, è un errore strategico.

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